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 2024  giugno 01 Sabato calendario

Le relazioni pericolose di Marija Zukova una bestsellerista nella Russia di Pukin

Nel 1836, Puskin la fece grossa. Presentando le Memorie del cavalier-pulzella che qualcuno aveva erroneamente attribuito a lui, rivelò l’identità dell’autore. Il quale non era Aleksandr Andreevic Aleksandrov, nome di battaglia imposto niente meno che dallo zar Alessandro I, bensì... Nadezda Andreevna Durova. Sì, una donna. La quale aveva davvero combattuto (sotto mentite spoglie maschili e avendo davvero avuto dallo stesso sovrano il permesso di farlo), contro le armate di Napoleone. «Penna svelta, piena di colore e di fuoco. Soprattutto verità e sincerità. L’argomento è già di per sé così avvincente che non ha bisogno di decorazione», aveva spoilerato a metà l’anno prima l’autore di Evgenij Onegin e di La figlia del capitano. Poi fece il resto. L’indomita signora, nata a Kiev nel 1783, non prese bene l’outing per interposta persona (nonostante proprio Puskin, da lei casualmente incontrato, l’avesse convinta a editare il libro, vent’anni dopo i fatti narrati), e se ne lamentò con il responsabile. Il quale girò la frittata a modo suo: «Sii coraggiosa ed entra nel campo della letteratura con lo stesso coraggio che ti ha reso famosa in battaglia».
 
 
È probabile che in quel periodo Puskin abbia conosciuto un’altra coraggiosa aspirante scrittrice: Marija Semënovna Zukova. Infatti la signora, il cui figlio andava a scuola a Pietroburgo, negli anni ’30, frequentava uno dei salotti letterari della capitale, quello dei Golycin, dove era ospite il re delle lettere russe. Anche Marija, nata ad Arzamas nel 1805, aveva combattuto molte battaglie, ma con le armi della normale (e sventurata) madre di famiglia: il matrimonio con un piccolo possidente più fedele alla vodka e al gioco d’azzardo che a lei; la conseguente, e clamorosa per un’ortodossa, decisione di separarsene; la fatica di crescere da sola il bambino lavoricchiando qui e là, cavandosela con pennelli e colori, come ritrattista di famiglie o facendo copie di quadri famosi; infine il rischio di scegliere la scrittura come fonte di sostentamento. Rischio calcolato, stando a Vissarion Grigor’evic Belinskij, il critico più influente del Paese, il quale nel 1837 parlò di «successo straordinario» per l’esordio di Marija: Le serate sul fiume Karpovka. Si tratta di racconti «a cornice», sul tipo del Decameron di Boccaccio e di Le mille e una notte, e di chiara ascendenza, guarda caso, pukiniana. Ma l’aspetto più rilevante di quelle storie è la lingua: il russo, non il francese com’era in uso allora e come è il caso della nobile Zinaida Aleksandrovna Belosel’skaja coniugata Volkonskaja (1789-1862).
 
Ignota ai lettori italiani, ora Marija Semënovna ukova si presenta a noi con un racconto lungo o romanzo breve datato 1845: La dacia sulla via di Petergof (Elliot, pagg. 125, euro 15, traduzione e cura di Raffaella Pastore, alla quale dobbiamo le notizie biografiche sopra riportate). La «via di Petergof», non distante da Pietroburgo, appare qui per ukova come la sintesi e la fusione delle parti di Guermantes e di Méséglise per Proust, collegate da un sentiero nascosto: un mondo a parte fatto di natura rigogliosa e pettegolezzi acidi, musica e intrallazzi, sfarzo ridondante e fortune dilapidate, amori e gelosie. Nello specifico, ancora Belinskij sintetizza, a proposito della Dacia: «le sue donne sono più intelligenti, più piacevoli e più naturali dei loro mariti». È così, in questa storia gli uomini stanno sempre un passo o una versta dietro le rispettive consorti o fidanzate. Tuttavia quello di ukova non è femminismo, è sentimentalismo, e non nel senso di sdilinquimento romanticheggiante, bensì in senso morale: mettere i sentimenti sopra tutto.
 
 
Da una parte abbiamo Mary, molto ricca, bella ma non bellissima, civettuola e dotata di senso pratico. Dall’altra abbiamo Zoja, molto povera, incantevole più che bellissima, modesta e colta. Fra le due dame, a fare la classica figura del salame è Evgenij (omaggio all’Onegin di Pukin? È plausibile), principe tanto affascinante quanto scialacquatore il quale, arrivato per inerzia ai trent’anni, è spronato dalla zia Elena a decidere finalmente che cosa fare da grande, tanto per cominciare, prendere moglie. Lo abbiamo chiamato «salame», ma dobbiamo aggiungere piccante quando lancia alla zietta una scommessa degna del Valmont di Choderlos de Laclos: vuoi vedere che quella lì, promessa al consigliere della Sezione del Tesoro, in un amen s’innamora di me?
 
 
 
Quella lì quale? Mary o Zoja? Lo saprete se vorrete prendere posto in prima fila per seguire questa sequela di relazioni pericolose, parteggiando per l’una o per l’altra. La scaltra Mary, prima che inizi la gara che conduce ad Evgenij, dice all’ipersensibile Zoja che «la gente non merita di innamorarsi», e che comunque, qualora accadesse, «basta solo convincersi che qualcosa sia impossibile per smettere di desiderarla». Mentre Zoja ribatte che la chiave della vita è una sola, la «compassione», la condivisione che fa battere i cuori all’unisono. Da parte sua l’Autrice commenta con amarezza l’egoismo della gente secondo la quale: «Gli altri devono essere felici a modo nostro, e non a modo loro».
 
 
Frase che ci proietta in avanti di una trentina d’anni: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo». Scoperta da Pukin, Marija Semënovna ukova anticipa Tolstoj creando una piccola e fragile Anna Karenina.
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