Corriere della Sera, 1 giugno 2024
Benvenuti nel paese del carnevale perenne
Nel 2001, Umberto Eco scriveva a proposito della carnevalizzazione della società: tutte le civiltà hanno sempre riservato alcuni giorni dell’anno al gioco totale, era il «periodo di licenza che noi chiamiamo Carnevale» e che per essere tale doveva durare poco. La grande mutazione antropologica, secondo Eco, era che il carnevale tendeva sempre più a estendersi a tutti i giorni dell’anno. La vita, non solo nel tempo libero passato davanti al televisore (tra i soliti lustrini, paillettes e belle fanciulle) o nell’effervescenza del turismo di massa, si consegnava a una sorta di svago perenne. Non solo. Grazie ai computer e alla tecnologia onnipresente, anche il lavoro impiegatizio si concedeva ampi spazi ludici, un’infrazione più o meno clandestina. Ora, chissà come reagirebbe Eco di fronte alla carnevalizzazione allargata all’esercizio del potere, dove si manifesta ogni giorno la licenza alla trasgressione burlesca da parte di chi invece per ruolo non dovrebbe trasgredire. Che cosa direbbe constatando la parolaccia esibita, l’insulto, il dispetto, il «rutto libero» fantozziano lanciato non dal basso ma dalle alte sfere; il travestimento continuo (maschera vittimistica, cinica o trionfalistica a seconda delle occasioni); la messinscena folle, come quella della repubblicana Nikki Haley che si diverte a scrivere «Finiteli» sul missile israeliano. Ovvio che il gioco carnevalesco è tanto più impressionante se c’è pochissimo da scherzare, nell’epoca lugubre dei morti sotto le bombe e delle guerre.