Corriere della Sera, 1 giugno 2024
La fabbrica di offese bipartisan di De Luca
ROMA «Presidente De Luca, eccomi, sono l’uomo di Neanderthal». Volesse rendergli la pariglia davanti a tutti come ha fatto l’altro giorno Giorgia Meloni, vendicando quello «str..za» in realtà captato da un fuorionda, al cospetto di Vincenzo De Luca Matteo Salvini dovrebbe presentarsi così: piacere, l’uomo di Neanderthal. Perché così, lontano dalla comfort zone delle sue dirette su Facebook o dei fluviali discorsi che resero celebre ovunque la piccola emittente salernitana (Lira Tv) che li ospitava, il presidente della Campania scorticò verbalmente il leader della Lega di fronte alla platea degli imprenditori di Cernobbio. Era l’epoca del Carroccio al 35 per cento, il momento in cui Salvini cercava nel salotto buono l’accreditamento giusto per completare il passaggio da forte potere a potere forte. Ci pensò De Luca, tra una tartina e l’altra: «Se vuole fare il ministro, Salvini si deve vestire da cristiano, non da uomo di Neanderthal».
Nella sterminata galleria di epigrafi che, al contrario di Edgard Lee Masters, De Luca ha dedicato a personaggi sempre viventi e quasi sempre politici – che comunque ha dato vita a una sorta di Spoon river del dileggio – Salvini ha sempre avuto un posto in prima fila. Persino quella volta in cui, seguendo il consiglio del governatore campano, si tagliò la barba per risultare istituzionalmente più presentabile. Niente da fare, ironizzò De Luca, «senza barba sembra un capitone». Sempre meglio del triumvirato che guidò una delicatissima fase dei Cinque Stelle – Luigi di Maio, Roberto Fico e Alessandro di Battista – archiviato in tre parole: «Tre mezze pippe».
Il suo partito
Non risparmia il Pd
da quando disse a Bersani: ma lo vuoi buttare ’sto sigaro?
Aperto ventiquattr’ore su ventiquattro e sette giorni su sette, con una leggerissima predilezione per il venerdì delle dirette social, l’insultificio De Luca ne ha sfornate di ogni. Alcune, visto il contesto, anche abbastanza pericolose per l’incolumità politica del destinatario. Di Di Maio, per esempio, disse che era «uno sfaccendato a cui il papà passava la paghetta per pizza e birra»; e, soprattutto, che dal posto di steward dello Stadio San Paolo era stato cacciato «perché portava seccia (sfortuna, ndr), quando c’era lui il Napoli perdeva». Omaggiando l’antico adagio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico, Giuseppe Conte l’ha quasi difeso dall’attacco di Meloni; evidentemente dimentico, o forse no, della volta che il presidente della Campania, in piena pandemia, stroncò il celebre punto stampa dell’allora presidente del Consiglio giallorosso tenuto su un tavolino davanti all’ingresso di Palazzo Chigi: «Si è pensato volesse fare un barbecue (...), dicendo “io ci sono e io ci sarò”, come avrebbero detto Totò e Peppino, Conte ci ha chiaramente minacciati».
Minaccioso a sua volta con i cittadini che violavano le regole del lockdown ai tempi della pandemia (il «lanciafiamme» per le feste di laurea oscurò la volta che minacciò di uscire «con una mazza in mano e se vedo uno che sta in giro senza un motivo gli do una botta in testa e lo lascio stecchito per terra»), caustico con gli avversari politici (del berlusconiano Luigi Cesaro disse che era «un oltraggio alla biologia, è una polpetta»), De Luca ha riservato la ferocia vera ai nemici, che seguendo la massima in voga nei partiti comunisti europei del Novecento sono quelli con cui si convive nel medesimo partito. «Ho preso il triplo dei voti che Elena Schlein ha preso alle primarie», disse cambiando il nome della segretaria. Il povero Antonio Misiani, commissario del Pd campano, si beccò la qualifica di «contatore di piccioni a Venezia, come in Tototruffa ’62». Nulla di paragonabile, non tanto nei toni quanto nei modi, alla stroncatura estetica riservata a Pier Luigi Bersani durante la campagna elettorale del 2013. «Sei un marito morigerato, non hai neanche la creatività di Bill Clinton, ma lo vuoi buttare ’sto sigaro?». E ancora, parlando alla platea, sempre riferendosi all’allora segretario del Pd: «Non ha l’andatura di John Wayne, si deve pure fare la convergenza ai piedi perché ce li ha a 45 gradi...». Bersani rise ma poco dopo ci fu la mancata vittoria alle elezioni. Che De Luca, questa volta serio, commentò così: «Ha ragione Bersani quando dice che le sconfitte sono senza padri. Però qualche sigaro di troppo ce l’hai messo anche tu, Pier Luigi, diciamo la verità». E stavolta Bersani non rise più.