Corriere della Sera, 1 giugno 2024
L’abbraccio
La scena è già indimenticabile. L’ha fermata un passante con la telecamera del telefono (a scanso di equivoci, dopo avere chiamato i soccorsi). Ci sono tre giovani, due ragazze e un ragazzo, che si stringono in un abbraccio per tentare di opporre resistenza alla furia del fiume Natisone, nei pressi di Udine. I tre si trovavano su un isolotto quando l’acqua li ha sorpresi fino a sommergerli. L’istinto di sopravvivenza li avrà spinti a cooperare anziché a competere ed è questo, suppongo, il significato recondito che il nostro inconscio attribuisce all’immagine, in accordo con le teorie più recenti sull’evoluzione. Nella sfida sempre impari con le forze della natura, rispetto a tre Io è più probabile che si salvi un Noi.
Ogni ulteriore approfondimento della storia sembra però fatto apposta per boicottarne il senso. L’abbraccio, infatti, non ha retto alla pressione delle onde. E quei tre individui, che si erano rinsaldati in un unico nucleo a protezione di sé stessi, a un certo punto si sono ritrovati a combattere da soli per la vita, cercando invano di afferrare le corde lanciate dai pompieri. Eppure, l’istantanea dei loro corpi fraternamente e disperatamente avvinghiati per l’ultima volta rimane impressa nella memoria in modo indelebile e tocca corde talmente irrazionali e profonde che la parola preferisce farsi in disparte. Per non disturbare.