la Repubblica, 1 giugno 2024
Intervista a Edoardo Ponti
Sophia Loren a un soffio dai novanta, con l’energia dei trenta, gran senso dell’umorismo e un’inedita passione per il tennis. A raccontarci passato e presente, vita e quotidianità della diva – novant’anni il 20 settembre – è il figlio Edoardo Ponti. Sarà il regista a introdurre la retrospettiva di 13 film organizzata da Cinecittà al Lincoln Center di New York Sophia Loren. La signora di Napoli,dal 7 giugno: «È un onore e un’emozione. Ho fatto tre film con mia madre, avere Sophia Loren sul set vuol dire essere ispirato, prima ancora che dal talento, dalla sua generosità, umiltà e umanità».
Napoli per sua madre e per lei, che l’ha riportata nella sua città con “Voce umana”?
«Napoli significa tutto. Mia madre ha spesso detto “sono italiana, ma prima ancora sono napoletana”. E dunque in quella città ci sono le radici della sua ispirazione, dell’emotività che ha sempre combinato con ironia e umorismo. Mia madre si è sempre ancorata a questa identità per esprimere tutti i suoi personaggi, anche se non erano napoletani. Parla sempre quel dialetto, anche oggi».
“Miseria e nobiltà”, “Il segno di Venere”, “Peccato che sia una canaglia”, quando ha scoperto i primi film di sua madre?
«Tardi, in un certo senso. Da ragazzino conoscevo La ciociara, Matrimonio all’italiana, Ieri, oggi, domani.Solo poi ho scoperto i film dei primi anni e uno che mi ha toccato molto è Peccato che sia una canaglia,il primo con Mastroianni, in cui è nata la loro chimica. Tra loro c’è sempre una sotterranea tensione romantica, ma allo stesso tempo una grande comicità. Si vede che a mia madre Marcello piace come essere umano, la fa ridere. Questa amicizia, questo rispetto creano anche la forza della coppia: non c’è uno che sia più importante dell’altro, sono alla pari».
In “Ieri, oggi, domani” ha detto di aver ritrovato espressioni e modi di fare di sua madre nella quotidianità.
«Perché non è una donna che recita e basta, lei vive i ruoli, attinge dalla propria vita, dalle espressioni, dalla sua anima. Quell’anima che nasce da Napoli, dalle esperienze durante la guerra, dai decenni che ha vissuto».
“Matrimonio all’italiana”?
«È un film che la tocca enormemente, che parla di figli, di famiglia.
Sappiamo tutti quanto lei, cresciuta con un padre assente, ha voluto i suoi figli, una famiglia. Dunque, questo film le parla molto. E lì c’è la scena più divertente: la lite in cucina con Marcello, lei mangia la pasta. Si sente la loro gioia nel girare insieme».
“Una giornata particolare”.
«Potrei dire che è il film più bello che abbia fatto. La maestosa regia di Ettore Scola, la sceneggiatura strepitosa, due attori al massimo della loro arte».
I primi ricordi di set con Sophia?
«Ai Caraibi, una produzione americana, Bocca di fuoco, il suo unico film d’azione, noi tutti con mamma nella roulotte a vedere questa esplosione. È stata la prima e unica volta della vita. E poi a undici anni Qualcosa di biondo, l’unica volta insieme da attori. Lì l’ho vista sul set come professionista, davanti e soprattutto dietro la macchina da presa, il suo comportamento con la troupe, gli altri attori. In questo è unica: l’opposto di una diva, le piace fare squadra, incoraggiare gli altri».
Lei canticchiò a sua madre “Te voglio bene assaje” e da lì nacque l’idea di coinvolgere Pavarotti.
«È vero. A scuola sentivo la canzone di Lucio Dalla, lo dissi a mamma, che preparava Mamma Lucia. A lei e papà piacque, e poi è diventata il cavallo di battaglia di Pavarotti. Che, con l’umiltà dei grandi, temeva di non restituire l’emozione di Dalla».
È stato al fianco di sua madre nei momenti dolorosi, cosa ha capito?
«Che la forza di una persona si definisce anche da come accetta la sofferenza. I dolori vanno vissuti completamente, se li ignori le crepe usciranno nella vita del futuro.
Bisogna abbracciare il dolore per poter andare avanti».
Nei film insieme cosa ha dato a sua madre come attrice?
«Quando lavoriamo insieme la nostra forza è la telepatia. Un regista deve capire quando l’attore ha dato verità alla scena. Noi abbiamo la stessa sensibilità, cerchiamo la verità comunicando a parole, sguardi, silenzi, un tocco. Abbiamo un nostro linguaggio emotivo che rende le sue performance molto sentite».
Il successo di “La vita davanti a sé”?
«Girarlo è stata un’esperienza indimenticabile, la reazione nel mondo è stata clamorosa. È un film che ha toccato le persone, ancora oggi riceviamo lettere, messaggi, ogni settimana».
Voglia o paura di farne un altro?
«Mai paura. Una delle lezioni che mamma ci ha dato, insieme a quella di essere sempre onesti, è che essere un artista vuol dire rischiare, per poter arrivare a un livello ancora più alto. Ora con mamma stiamo sviluppando più storie, dobbiamo capire la più giusta per lei in questo momento. È una donna che usa il passato per darsi forza, vive il presente e prepara il futuro».
Come vive la quotidianità sua madre? So che vi vedete spesso.
«Lei è qui con me a Los Angeles, in questo momento. È venuta per i diciott’anni di mia figlia e il suo diploma. Mamma è molto coinvolta nella vita dei suoi nipoti. Non è scontato che una donna di quasi novant’anni prenda l’aereo da Ginevra a Los Angeles, per tre settimane, per essere qui con la sua famiglia e sua nipote. Non so quanti lo farebbero, anche se in buona salute come mia madre».
Quando arriva che succede?
«È sempre una festa, a tavola, in famiglia. È sempre un momento di ritrovo, scambio, soprattutto risate.
Mia madre adora il tennis e anche se c’è il fuso orario Los Angeles – Parigi, non perde una partita del Roland Garros. Non so se lo sanno in Italia”.
Ha dei campioni preferiti?
«Le piacciono, tra le donne, Coco Gauff e Iga ?wi?tek. Soprattutto segue con passione Jannik Sinner”.
È una donna molto vitale.
«Sì. Tra i suoi filminternazionali le piace molto Lady L di Peter Ustinov, con Paul Newman. L’abbiamo rivisto di recente perché mamma all’inizio del film incarna un’anziana. E ora, a quasi novanta, voleva vedere come aveva fatto una donna di ottanta quando ne aveva trentacinque».
Che ha detto?
«Di averla fatta troppo vecchia: “Io non mi sento per nulla così”».