il Fatto Quotidiano, 1 giugno 2024
Bradbury ridotto a un “radical chic”
“Leggere può creare indipendenza” è uno slogan stampato da un editore su borsette di tela ottime da sfoggiare al Salone del Libro di Torino. Stessa réclame di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1953), da cui Truffaut trasse un film (1966) e a cui ora si ispira Il fuoco era la cura del collettivo Sotterraneo, associato al Piccolo di Milano, dove è appena andato in scena. Libri da ardere, non mettiamola giù dura, commenterebbe la Nothomb, anche se Radio3 ci ha eretto un idolo sopra, sotto e tutt’intorno.
Ideata e diretta da Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa, la pièce rispetta la trama del romanzo: il pompiere Montag, addetto all’incinerazione dei libri, considerati fuorilegge in quel futuro distopico, ha una crisi di coscienza dopo aver bruciato viva una donna insieme con la sua biblioteca clandestina; così si ribella al capo Beatty fino ad ammazzarlo e a darsi alla macchia in quanto sovversivo. Tuttavia qui Bradbury è ridotto a radical chic e lo spettacolo è ancor più consolante e “a tesi” dell’opera narrativa – i buoni leggono, i cattivi bruciano. Pure all’inferno. Tiè –; lo si intuisce subito da una delle battute di Beatty, “fascista epperò intelligente”. È fantascienza tagliata con l’accetta, nonostante i pannelli didascalici sul palco, l’uno azzurro e l’altro nel complementare arancione, riportino visioni del mondo contrastanti, anche sull’attualità (aggressione russa dell’Ucraina; minacce nucleari; Rafah e rapanelli eccetera).
Sia chiaro: l’allestimento è ben fatto e Sotterraneo dimostra al solito ironia e intelligenza, soprattutto nell’operazione metalinguistica, ovvero andando al nocciolo di una delle poche questioni artistiche di peso dopo Dio. Il Tempo; la menava già il professor Proust: gli interpreti infatti (gli eccellenti Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu e Cristiana Tramparulo) vestono i panni dei superstiti al disastro atomico immaginato da Bradbury e, molto dopo i loro bui anni 20 del 2000 – gli attuali, data del set avveniristico del romanzo –, si confessano in una conferenza nell’ipotetico 2051. “Il libro – si legge nelle note – è ambientato nel futuro, vale a dire oggi. Cinque performer si identificano coi personaggi, mappando i coni d’ombra, le deviazioni teoriche, le cronache di un tempo intermedio fra il nostro presente e un futuro anti-culturale… Ma se Fahrenheit 451 accadesse davvero, cosa faremmo?”.
“Bruciare la biblioteca di Alessandria” è una tentazione che ricorre periodicamente nella storia umana; libri, università, teatri, concerti e musei sono sempre a rischio chiusura – non i rave, già aboliti dal governo Meloni –; ma leggere non è de dicto o de re la “Resistenza”, a meno di non scadere nella pelosa retorica e nelle ridicolaggini woke, come ad esempio lo spiegone sul “negro” in Truffaut o la definizione di J. K. Rowling “Terf transfobica”: ma chi lo dice? Questa dichiarazione è già una presa di posizione, se non di guerra: quindi, discutibilissima.
Nel finale, poi, gli attori sono chiamati a tirare le somme sul totalitarismo dell’ignoranza “passato” e confidano rammaricati: “Ora facciamo solo intrattenimento. Nient’altro”. Che c’è di male? Infatti il pubblico scemino – secondo i suddetti criteri – applaude generoso e festoso all’ultima coreografia dei “Clown bianchi” (come le altre, firmata da Giulio Santolini: bravissimo). Delle due l’una: o gli spettatori non hanno capito la presa in giro, o lo scherzo-scherno è rimasto Sotterraneo.