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 2024  giugno 01 Sabato calendario

Intervista a Kevin Schwantz

«Ci vorrebbero più persone come Kevin Schwantz. Anche se nessuno può essere come lui»: Pedro Acosta, che della MotoGp è il futuro, così aveva risposto a una domanda su una delle leggende del motociclismo, appunto Kevin Schwantz, che in Texas è di casa, alla vigilia del Gran Premio delle Americhe ad Austin, poche settimane fa. Sessant’anni il prossimo 19 giugno, campione mondiale nella 500 nel 1993, Schwantz rimane un mito anche per chi, appunto come il 20enne Acosta, è nato dopo il suo ritiro. Ritiro che annunciò al Mugello, nel 1995, e questo fine settimana proprio sulla pista toscana si corre il Gran Premio d’Italia, settima tappa di un Motomondiale apertissimo. Comandano le Ducati: in testa c’è Jorge Martin, poi Pecco Bagnaia e Marc Márquez. A portarci in pista è proprio lo storico numero 34 della Suzuki.
Schwantz, è ancora dominio Ducati. Reggerà il titolo di Bagnaia?
«Il trionfo dell’anno scorso, con la sua tenacia nel voler tornare subito nonostante il pauroso investimento di Barcellona, la dice lunga su che campione sia. Avrà anche la moto migliore, e tutti in Ducati meritano i complimenti, ma Pecco l’ha migliorata».
Davanti però c’è Martin. Può essere il suo anno?
«Penso sia pronto per il titolo. Ha fatto degli errori, ma sta migliorando, è più intelligente. Tra la Sprint del sabato e la gara della domenica, il rischio di cadere e buttare via punti è doppio: sei pronto a vincere quando non commetti più certi errori».
Márquez è lì, con la Desmosedici del Team Gresini.
«Marc ha avuto problemi con la Honda, e la Honda i problemi li ha ancora: credo che Marini – che pure è molto bravo – e Mir non immaginassero andasse così male, sono sorpreso anche io. Tornando a Márquez, come lui non c’è nessuno in MotoGp, considerando quello che ha vinto. Oggi che non ci sono piloti dominanti, e lui ha la moto giusta, può essere tra coloro che si giocheranno il titolo».
Ci sono altri da cui si aspetta un salto?
«Di Giannantonio sta facendo molti progressi, nonostante il Team Vr46 abbia avuto qualche difficoltà. Ha una buona moto e sta migliorando».
Acosta?
«Lui è eccezionale. È al debutto in MotoGp e sinora ha sbagliato una sola gara, in Francia. La vittoria per lui non è lontana: sarà il campione del futuro, non ci sono dubbi su questo, e me lo aspetto più volte sul podio già in questa annata».
A proposito, ha sentito cosa ha detto di lei?
«Sì, e non penso che parlasse tanto del pilota, quanto della persona. Sono frasi che mi hanno fatto piacere. Oggi i piloti sembra non vogliano mostrarsi per quello che sono: vanno alle conferenze, fanno le interviste, rispondono in modo politicamente corretto: devono dire questo, dire quello… Sono indefiniti, non espongono la propria personalità».
Ducati vince, Ktm c’è, Aprilia migliora, le giapponesi sono disperse.
«Vedere le giapponesi che spesso non entrano in Q2 dice tutto. La Honda fatica molto a tornare ai tempi in cui era la più veloce, ma sto seguendo attentamente Yamaha e credo che prima della fine della stagione le cose inizieranno a sistemarsi: Quartararo e Rins con la moto stanno facendo un grande lavoro».
Al Mugello, nel 1995, lei annunciò in lacrime il ritiro. Cosa ricorda di quel giorno?
«Un paio di settimane fa ero in Italia per un evento di Suzuki e ho incontrato il dottor Costa. Mi ha fatto molto piacere rivederlo: era lì quando dissi a tutti che non avrei corso più, ed ero davvero triste. Però quel giorno è stato sia il migliore che il peggiore della mia vita: il peggiore perché stavo per chiudere la carriera di una vita e perché non avrei rivisto più tanti amici che avevo nel paddock in giro per il mondo; il migliore perché, dopo dieci anni, la pressione, gli infortuni e tutto ciò che si porta dietro essere un motociclista, era un sollievo. E infatti dopo avere smesso non è stato male, avevo tante cose a cui pensare».
Oggi le carriere dei motociclisti sono più lunghe.
«Dieci anni di Motomondiale allora erano molto pesanti, oggi ci sono ragazzi che ne fanno anche venti: sembrano delle macchine».
In Italia sono tanti gli appassionati che la ricordano con piacere. Si è fatto voler bene.
«Io amo l’Italia, la sua gente, il cibo, il vino, la passione del pubblico per le moto. Ho corso e vinto al Mugello, ho corso a Imola, a Misano dove non sono mai stato brillante e anche a Monza: sono sempre stato bene. I fan sono i migliori del mondo, i più simpatici. Ho firmato autografi dappertutto lì: maglie, caschi, tute, corpi, sui tatuaggi...»
Il Mugello era la “casa” di Valentino Rossi. Quanto ha perso la MotoGp senza di lui?
«Credo abbia perso soprattutto un personaggio, perché senza di lui sembra tutto più banale. Per il resto qualche suo tifoso avrà smesso di seguire le corse, ma la MotoGp non era solo Valentino».
Cosa le piace e cosa no di questa MotoGp?
«Ci sono troppa aerodinamica – prima o poi qualche pezzo di moto si staccherà a e decollerà pericolosamente – e troppa elettronica. Mi piacerebbe l’apertura a diversi fornitori di pneumatici, non a un fornitore solo: che giochi chiunque abbia voglia di giocare, lo spettacolo migliorerebbe».
La MotoGp è finita in mano a Liberty Media.
«Hanno un ottimo modello di business, la Formula 1 lo dimostra. Penso alla serie di Netflix
Drive to survive: c’erano miei amici qui in America che nemmeno sapevano cosa fosse la Formula 1 prima, ora mi chiedono i biglietti. Potrebbe servire alla MotoGp».
Dove però mancano piloti americani.
«I problemi sono due: il primo è che in MotoGp ora ci sono molti bravi piloti, il secondo è che non c’è collegamento con le scuderie e questo fa sì che ai talenti che vincono i campionati Usa di Superbike, Superstock o Supersport nessuno dia l’opportunità di provare alcune gare in Motogp. I tempi di gloria sono lontani, ma ci sono un paio di ragazzi da seguire: Mickey Lou Sanchez e un giovanissimo che sta facendo bene in Twins Cup su Suzuki, Rossi Moor».
(Rossi, sì, non è un errore, ma il nome di battesimo. E non è un caso).