Avvenire, 1 giugno 2024
Kafka, le ossessioni della civiltà borghese
Moriva cent’anni fa, il 3 giugno 1924, a Kierling ( Vienna) uno dei massimi scrittori del Novecento, Franz Kafka. Il suo nome si colloca al livello degli altri grandi protagonisti del rinnovamento del romanzo europeo: James Joyce, Virginia Woolf, Marcel Proust, Robert Musil, i nostri Italo Svevo e Luigi Pirandello, e pochi altri. Franz Kafka era nato a Praga il 3 luglio 1883 da un commerciante originario della provincia ceca e da una donna tedesca di religione ebraica. A partire dal 1901 studia all’Università tedesca di Praga, seguendo prima corsi di Germanistica, poi di Giurisprudenza. Si laurea nel 1906 e, dopo un anno di pratica giuridica, nel 1907 trova un impiego nel ramo assicurativo, che percepirà sempre come un ostacolo alla scrittura. Lo manterrà fino al 1922, quando dovrà andare in pensione anzitempo perché minato dalla tubercolosi, cominciando a trascorrere periodi sempre più lunghi in vari sanatori. I rapporti con la famiglia sono molto tormentati, soprattutto quelli con il padre. Tuttavia Kafka può contare su alcuni amici fedeli, in particolare Max Brod, scrittore anch’egli e suo sodale fin dai tempi dell’università, e, negli ultimi mesi di vita, il giovane medico Robert Klopstock. Lo scrittore cerca comprensione e affetto nella presenza femminile, passando però attraverso vicende sentimentali complesse e spesso infelici. Dopo il fallimento di diverse relazioni (particolarmente intensa è quella con Felice Bauer), vive gli ultimi mesi accanto a Dora Diamant, che lo assiste sino alla fine insieme a Klopstock.
Votato alla letteratura, della quale non è mai riuscito però a fare la propria professione, Kafka non è stato un autore eccessivamente prolifico. Molte delle sue opere, inoltre, sono rimaste incompiute e sono state pubblicate postume. Inizia a scrivere nel 1904, ma pubblica soltanto nel 1912 una prima raccolta di prose, intitolata Meditazione ( Betrachtung).
Nel 1916 esce il racconto più celebre, La metamorfosi ( Die Verwandlung) e viene portato a termine La condanna ( Das Urteil). Saranno pubblicati postumi circa la metà dei racconti e i tre grandi romanzi: Il processo ( Der Prozess, secondo nella composizione, 1925), Il castello ( Das Schloss, terzo nella composizione, 1926) e America ( Amerika, primo nella composizione ma ultimo nella pubblicazione, 1927). I romanzi sono incompiuti, tranne forse Il processo, e anche per questo Kafka desiderava che andassero distrutti; ma Max Brod, suo esecutore testamentario, non assecondò il volere dell’amico.
L’opera di Kafka è inseparabile da Praga, la città in cui lo scrittore trascorre la sua vita tormentata. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento vi risiedono cittadini cechi e tedeschi: mentre la popolazione ceca è formata prevalentemente dalle classi sociali più povere, la minoranza tedesca è composta da ricchi borghesi, ufficiali dell’esercito, dirigenti statali. Accanto ai cechi e ai tedeschi, un’altra presenza, quella di una cospicua comunità ebraica, conferisce alla capitale boema un carattere peculiare, legato appunto alla cultura e alle tradizioni di quel popolo. Kafka vive perciò una condizione di doppia estraneità: rispetto ai cechi in quanto tedesco, ma anche rispetto ai tedeschi in quanto ebreo. Oppresso dal mondo familiare e lavorativo, divorato da un invincibile senso di inadeguatezza, Kafka trasferisce nella scrittura le sue ossessioni. Molti dei protagonisti delle sue opere sembrano infatti condurre un’esistenza soffocante simile a quella dell’autore, sopraffatti dalle sue stesse angosce.
Lo scrittore avverte in maniera tormentosa la propria incapacità di adempiere ai doveri imposti dalla morale borghese e dalla religione ebraica. Il contrasto con la figura paterna – che attraversa in modo traumatico tutta l’esistenza di Kafka e costituisce uno dei motivi centrali della sua scrittura – non è soltanto il segnale della contrapposizione tra generazioni che caratterizza in particolare gli anni a cavallo della Prima guerra mondiale, ma anche l’esasperazione di una vicenda personale: nel racconto La condanna (scritto nel 1916 e pubblicato postumo) e poi nella Lettera al padre (1919, ma anch’essa uscita dopo la morte dell’autore) il padre è il simbolo di una istituzione autoritaria, la famiglia, ma la ribellione contro l’onnipotenza dell’autorità genitoriale è sempre destinata al fallimento. Anche il progetto di un matrimonio, che Kafka non realizzerà mai, e il complicato rapporto con l’altro sesso contribuiscono ad accrescere in lui questa sensazione di inettitudine.
Nel racconto La metamorfosi il principio su cui sono costruite molte fiabe, vale a dire la trasformazione del protagonista in un animale, diventa l’assurdo inizio del racconto. Ma nel racconto di Kafka, diversamente da quanto accade nelle storie per bambini, il ritorno all’aspetto umano non avviene: una volta morto, il protagonista verrà impietosamente spazzato via dalla scopa della domestica, come un insetto molesto. Nel romanzo Il processo il senso di colpa che tormenta Kafka prende forma nell’immagine del tribunale, un’istituzione superiore, indecifrabile e potente che fa da sfondo inquietante all’intera vicenda. Nel “Castello” il luogo misterioso in cui è ambientata la vicenda è la rappresentazione simbolica di un’autorità superiore, incombente, che fa del protagonista un accusato e un estraneo rispetto al resto della comunità degli abitanti del villaggio. In America, infine, il sedicenne Karl Rossmann viene allontanato dalla famiglia per una colpa commessa e inviato nel Nuovo Continente, dove è destinato a perdersi in una realtà che fatica a comprendere.
Le opere di Kafka raccontano esperienze di inquietante assurdità attraverso una scrittura lucida, straordinariamente precisa e realistica nei dettagli e nel tratteggiare fatti inauditi come se fossero momenti della più normale quotidianità. Kafka rifiuta ogni intento edificante, mirando piuttosto ad analizzare l’esistenza con tutto ciò che di negativo, di angoscioso, di tragico essa comporta. Le sue opere sono rappresentazioni paradossali e grottesche, i cui significati profondi sono stati riferiti dalla critica al piano psicanalitico, esistenziale, persino teologico. La sua opera sarebbe, in quest’ultimo caso, una simbolizzazione dell’incolmabile distanza tra Dio e gli esseri umani.