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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Fosse, un Nobel nella selva oscura

Chiari echi danteschi percorrono Un bagliore, il nuovo libro di Jon Fosse che, dopo aver scritto drammi teatrali rappresentati in tutto il mondo, romanzi, saggi, raccolte di poesia, libri per bambini, traduzioni, si confronta con una novella in uscita da La nave di Teseo. Un racconto di una settantina di pagine, tanto breve quanto profondo, con un incipit che, se non si trattasse di Fosse, potrebbe far pensare a un mistery alla Joyce Carol Oates, o addirittura a un horror alla Stephen King.
Incoronandolo lo scorso ottobre con il premio Nobel «per le opere drammaturgiche e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile», l’Accademia di Svezia ha riconosciuto a Fosse la potenza di una scrittura fatta di poche azioni e gesti essenziali, alimentata da una tensione metafisica in grado di condurre il lettore lungo un autentico percorso spirituale.
Nella brevità, nello stile fatto di frasi sintetiche, frammentato, di Un bagliore, lo scrittore nato nel 1959 da una famiglia di contadini della Norvegia occidentale, convertito al cattolicesimo dopo un doloroso passato da alcolista, sembra mettere un contrappeso formale alla Settologia, la grande liturgia romanzesca in sette parti (oltre 1.200 pagine senza un punto, La nave di Teseo in Italia ha pubblicato i primi due volumi), con al centro due protagonisti che hanno in comune il nome Asle, ma vivono due esperienze esistenziali completamente diverse.
Lo stesso soffio spirituale si respira anche in Un bagliore dove un uomo, senza nome come succede in altre opere del premio Nobel, si mette al volante della sua auto e parte: «Ero salito in macchina e via, e dove potevo girare a destra o a sinistra giravo a destra, e dove al bivio successivo potevo prendere a destra o a sinistra prendevo a sinistra». Una road map apparentemente casuale che si interrompe quando l’auto imbocca una strada forestale e le ruote rimangono bloccate dal fango. Il guidatore spegne il motore, davanti a sé ha un bosco. O il nulla? Dopo una serie di elucubrazioni su chi potrebbe aiutarlo – ci vorrebbe un trattore, ci vorrebbe una casa vicina, ci vorrebbe una luce che indichi la via, ma non c’è niente – si accorge che sta nevicando: «Allora non potevo restarmene seduto in macchina, dovevo andare a cercare qualcuno. Il problema era che non sapevo dove andare per trovare gente, la fattoria che avevo visto era abbandonata, non c’era nessuno nella casetta di legno che avevo notato e avrei dovuto camminare parecchio per raggiungere la strada principale».
L’uomo scende, si incammina nella «selva oscura» (così, con immediato riferimento all’Inferno dantesco, nella bella, poetica traduzione di Margherita Podestà Heir). Fuori tutto è bianco, silenzio, freddo e la realtà comincia a vacillare. Attraverso i pensieri del protagonista – ripetitivi, contradditori, ruminanti – Fosse dissolve il confine tra mondo materiale e spirituale, tra esterno e interiore, tra io e natura e avviluppa il lettore in un flusso di pensieri frammentato e vago, pervaso da un vibrante sentimento religioso e al tempo stesso da una vaga angoscia esistenziale: «A meno che non succeda un miracolo, morirò assiderato. Forse è proprio questo il motivo per cui sono entrato nel bosco, perché volevo morire assiderato. Eppure io non voglio. Non voglio morire. O forse è proprio quello che desidero. Ma perché vorrei morire?».
Smarrito come Dante nella selva ostile, l’uomo si avventura nei boschi sempre più fitti, attratto da una presenza oscura ma piena di luce. Nel buio impenetrabile si rende conto di qualcosa che cammina verso di lui. È la sagoma luminosa di qualcosa che assomiglia a una persona: «Ora la vedo chiaramente. Sì, è bianca. Il suo biancore. Nel buio nero diventa così palese. Così luminosamente bianca. Un bagliore». La sagoma diventa uno spazio bianco che si espande sempre di più, rimane vicina, circonda le spalle dell’uomo con un tocco leggero, ma non viene mai nominata; la luce che emana è forte, ma guardarla non fa male, «e così sono rimasto lì, davanti a quell’entità e a tutto il suo biancore. Cos’altro avrei potuto fare. Sono rimasto così, impalato. Stranamente non sentivo più il gelo. Non avevo più freddo, anzi, percepivo un calore che fluiva verso di me e veniva dall’entità».
Fosse non spiega, non chiarisce, non offre interpretazioni, si limita ad alludere, a suggerire costringendo il lettore a seguirlo nel suo avvicinamento all’essenza delle cose. «Non ti sto seguendo, ti sto accompagnando» gli dice l’entità che alla domanda su chi sia risponde con parole dal sapore biblico: «Io sono chi sono».
Altre figure appaiono nel bosco: allucinazioni? visioni? sogni? una terza dimensione? Dalla selva oscura dell’Inferno si sale verso il Purgatorio, con l’apparizione nebulosa dei genitori, un Padre e una Madre alla ricerca del figlio perduto, nel ruolo di guida che Dante attribuisce a Virgilio e Beatrice. Tra loro e il protagonista riecheggia nella lontananza una conversazione che riproduce, con effetti a volte commoventi, a volte comici, le incomprensioni e i silenzi della vita quotidiana. «Perché te ne stai lì fermo, non startene così, non puoi startene lì così, comportati come si deve», dice la madre al figlio. E poi al marito che sta in silenzio: «È sempre così, non dici mai nulla, neanche quando hai davanti a te tuo figlio, è lì a pochi metri da te, non dici niente, non puoi dire qualcosa, devi dire qualcosa, devi dirgli che deve venire qui e che dobbiamo uscire dal bosco».
Fosse lascia aperta la porta sul mistero: nelle pagine di Un bagliore si incrociano varie, possibili interpretazioni, che coinvolgono anche l’altra figura che a un certo punto compare: l’uomo con l’abito nero, scalzo nella neve («E là, dietro l’uomo con l’abito nero, tra lui e l’entità splendente, ci sono, sì, ci sono i miei genitori, mia madre e mio padre, che si tengono per mano»), facilmente identificabile con un simbolo della morte. Fosse non tradisce la missione di dare voce all’indicibile che sembra essersi affidato e, pagina dopo pagina, fa di Bagliore una riflessione profonda e aperta sull’amore, sulla vita, sulla coscienza, sull’eternità, su Dio.