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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Intervista a Sonia Raule

Sonia Raule: autrice, conduttrice, scrittrice, produttrice ed ex modella. Moglie e vedova di Franco Tatò. Quante vite ha vissuto?
«Mi piace che lo dica, perché credo davvero di aver vissuto più vite. Molti si fermano alla prima, io sono andata avanti affrontando quella successiva con una maturità diversa. E con la consapevolezza di essere fortunata: non è dato a tutti di vivere più volte».
Cominciamo dall’inizio: è nata a Milano per caso.
«Papà, veneto, lavorava a Milano. Ma sono cresciuta e ho studiato a Padova. Ci sono rimasta fino a quando non sono diventata insofferente. E sono tornata a Milano».
In che famiglia è nata una delle donne più mondane?
«Una famiglia perbene, di piccoli imprenditori. La monotonia della borghesia. Mi sentivo in gabbia: ero curiosa di quello che c’era fuori, una curiosità potente e non controllabile. Scappai più volte».
Verso dove?
«All’inizio nelle piazze delle contestazioni. Padova a fine anni ‘70 era una polveriera».
La prima Sonia Raule era una rivoluzionaria?
«Ero una studentessa con alti e bassi, una discontinuità legata all’impegno politico».
E lei aveva un’arma in più: la bellezza.
«Non ne sono mai stata particolarmente consapevole. Se si scontra con le insicurezze non riesci a viverla con sfacciataggine. Poi, però, mi ha aperto delle strade».
Ha iniziato come modella.
«Ma il mio primo lavoro è stato nel laboratorio di maschere di Donato Sartori: un lavoro complesso e faticoso. Ho manualità: guadagnavo 25 mila lire a maschera. Da lì passavano i protagonisti del teatro: mi sono presa così la prima cotta. Platonica».
Per chi?
«Carmelo Bene. Rimasi affascinata dal personaggio, dalla capacità di usare la voce e di tenere la scena. Un’ammirazione sfociata in nulla».
Si trasferisce a Roma quando sposa Bernardino Campello della Spina, giornalista e nipote di Agnelli.
«Ci siamo conosciuti a casa di Carmine Benincasa: il suo salotto era un crocevia di intellettuali. Una sera Bernardino era lì e io indossavo un abito Valentino in velluto nero».
Colpo di fulmine.
«Eravamo troppo giovani e ci siamo lasciati dopo 8 anni. Ma siamo stati buoni genitori per nostro figlio Tancredi».
Altri punti in comune?
«L’amore per l’arte. Bernardino possedeva le Fonti del Clitunno a Spoleto, donate da suo nonno alla moglie, la contessa Maria Bonaparte. Quando vidi quel laghetto abbandonato lo convinsi a parlare con la Sovrintendenza».
La separazione e la tivù.
«A un certo punto ho deciso che mi sarebbe piaciuto fare tivù. Una regressione infantile: da piccola mi mettevo davanti allo schermo spento e sognavo di essere lì dentro».
E ha realizzato il sogno.
«A Villa Miani c’era un cena organizzata dal circuito Odeon 5 Stelle. Mi feci invitare e fui molto pushing: li convinsi a darmi un programma. Il primo fu un talk sull’esercito: quello passava il convento».
I salotti contavano?
«Era bello entrare e uscire da tutti. Si sceglieva in base a chi c’era: dalla Verusio incontravi Scalfari. Da Maria Angiolillo ne incrociavi altri: una sera mi trovai seduta tra Bossi e Bersani. Il cinema passava da Paola Sturchio. Non ricordo in quale, ma una sera c’era Bob Geldolf che si innamorò delle mie scarpe in cavallino nero e disse: “I call your shoes”fuck me shoes”». Evitai che mi accompagnasse a casa»
La Rai.
«Nel 1997 Giovanni Minoli, direttore di Rai Tre, mi affidò Art’é, in prima serata. Facevamo ottimi ascolti perché usavamo un linguaggio facile».
L’incontro con Franco Tatò, suo secondo marito.
«A Montecatini, dove c’era una mostra sponsorizzata da Enel. A cena da Alessandra Borghese ho incrociato gli occhi azzurri di Franco: siamo rimasti insieme 26 anni».
È mancato da poco. Quale è il suo stato d’animo oggi?
«Ci sto ancora facendo i conti: all’inizio l’assenza è stata prevaricante. Poi diventa patologico e devi iniziare il cammino di Zarathustra con il funambolo morto sulle spalle: quando lo seppellisce termina il suo percorso».
Cosa che le manca?
«Tutto, persino i litigi. Nostra figlia Carolina diceva: “sono cresciuta tra i bisticci”. Ma duravano mezz’ora».
Lo chiamavano Kaiser sul lavoro. E in famiglia?
«A volte era duro. Lesse il mio cv su Wikipedia e disse: “È il curriculum di chi ha fatto cose geniali e non ne ha mai portata avanti una”. Ci rimasi male, a volte trascuravo le mie cose per seguirlo».
Qualche vantaggio?
«Cercavo di cogliere le opportunità. Mentre conducevo Art’é, mi chiese di accompagnarlo nel road show in giro per il mondo per la privatizzazione di Enel. Mi portai dietro un cameraman: quando Franco faceva le presentazioni agli analisti, noi andavamo nei musei. Tornai indietro con molto materiale».
Eravate un power couple?
«Avevamo un potere mediatico: era un filosofo, ma con uno spirito da ragazzo. I nostri 30 anni di differenza pesavano più a lui. Era arrabbiato di diventare vecchio»
La vostra casa in Puglia è stata un buen retiro.
«Franco ha fatto pace con la Puglia grazie a me. Era nato a Lodi e non rivendicava le origini: poi quando è nata Carolina l’abbiamo svezzata lì. Leonardo Mondadori ci trovò la nostra masseria: ora voglio chiuderla per un po’».
È morto a San Giovanni Rotondo.
«Era ateo senza ripensamenti, ma aveva una devozione per Padre Pio. Doveva affrontare un intervento complesso e la clinica migliore era a San Giovanni Rotondo: prima di ricoverarsi si ritirò in preghiera. Ci stette a lungo, gli domandai: “Ma cosa hai chiesto a Padre Pio”?»
Immagino di vivere.
«Ci disse : “Se c’è qualcosa per la quale vale la pena ancora vivere”. Io e Carolina avvertimmo in quella circostanza il suo cinismo irriverente. Credo che abbia chiesto di non soffrire: prima della sala operatoria ebbe la crisi fatale».
Da cosa ricomincia oggi?
«Da una società di cibo vegano: si chiama Vegzone. Apri le vaschette e senti ancora il profumo degli ingredienti».
È vero che non chiede mai l’età a chi incontra?
«Mi condiziona: ci relazioniamo agli altri in base alla età, non alla persona».
L’età delle sue amiche?
«Con Lina Sotis, che ha 80 anni, parliamo di come tenere pulita Milano».
Due donne eleganti?
«Miuccia Prada, è regale nella semplicità. Poi Benedetta Porcaroli: giovane e chic».
Una gaffe storica?
«Dissi in un’intervista che Sabrina Ferilli era una cozza: Franco ne dovette rilasciare un’ altra dicendo che era una donna meravigliosa...»
Roberto D’agostino inaugurò Dagospia con lei.
«Sì e non gli parlai per anni. Oggi abbiamo fatto pace. È dissacratore e intelligente».
Lei è una donna di potere?
«Ho conosciuto il potere e so riconoscerlo al volo».
Da cosa?
«Anche un semplice gesto è un segno: incide».
Potrebbe innamorarsi ancora?
«Mai dire mai. Magari nella prossima vita, si dice che i gatti ne abbiano sette».