la Repubblica, 31 maggio 2024
Intervista a Brahim Diaz
— I tifosi del Dortmund sono furiosi per l’accordo con lo sponsor Rheinmetall, fabbricante d’armi. Quelli del Real sono in apprensione per il raffreddore che ha colto Lunin, eroe ai rigori con il City: ha raggiunto Londra con un altro aereo per evitare il rischio contagi. Domani, a Wembley, le due squadre si giocano la Champions. Per l’ex milanista Brahim Diaz la partita più importante della sua giovane carriera. «La finale di Champions la sogniamo tutti fin da bambini. E il Real Madrid ti dà la possibilità di realizzare il sogno quasi ogni anno».
Diaz, c’è un video sul web che ritrae un bambino sognatore: maglia numero 11, dribbla tutti.
«Sono io! Da piccolo, nato e cresciuto a Malaga, giocavo nelle squadre del quartiere, il Mortadelo e il Tiro Pichón. Ero così minuscolo che il pallone era più grosso di me: mi arrivava alle ginocchia».
Nonno Angel racconta che tanti venivano a vederla da fuori.
«Vero: si era sparsa la voce che c’era un bambinetto slalomista e che strappargli il pallone era difficile».
Le è rimasta l’abitudine.
«Mi piace emozionare la gente. Ma il calcio è uno sport di squadra: la vittoria si costruisce in gruppo».
Col Bayern, è stato decisivo l’ingresso di Joselu e suo, all’81’.
«Ho giocato tante partite elettrizzanti col Real, quella lo è stata parecchio. Avere contribuito a ribaltare il risultato, al Bernabeu, è stata una sensazione fantastica».
Il suo gol al Lipsia – slalom prolungato, sterzata, tiro liftato sotto l’incrocio – concorre per il premio Uefa più bello.
«Sono molto umile, non mi va di esaltare me stesso. Però in effetti è stato un gol molto bello».
Da artista, lei che è concittadino di Picasso?
«Se qualcuno mi dà dell’artista, non mi offendo. Ma Picasso è un genio».
Invece un dribblatore?
«Un calciatore che segue l’istinto. Supera un avversario e poi un altro e un altro ancora. Giocando per il club migliore del mondo, però, si pensa al bene della squadra».
Il suo feeling con la Champions è iniziato al City, a 18 anni.
«La musica, l’atmosfera: tutto è speciale in questo torneo. Sono contento di avere già 28 presenze in questa competizione, tra Real, Milan e City. Ma sono a un passo dalla mia prima Coppa...».
Ha dichiarato che mezz’ora col ReaI vale un’ora e mezza con qualsiasi altra squadra.
«Confermo. Essere parte di un club come questo non capita a tutti. Bisogna meritarselo e goderselo».
E le tre stagioni al Milan?
«Ne ho un ricordo piacevolissimo: per lo scudetto, i gol, gli assist e per l’atmosfera a Milanello, con compagni-amici e con Pioli, al quale devo tanto. Nel calcio italiano si respira la passione, la gente è futbolera. La Serie A cresce: è già tra i migliori campionati al modo, può fare ancora un passo in più».
Al Milan la portò Paolo Maldini: sorpreso che non sia più al Milan?
«Sì, fu lui. Non mi compete, ma se mi chiede se mi sono stupito della rinuncia a lui, le rispondo di sì».
La sua maglia numero 10 è finita sulle spalle di Leao.
«Il mio grande amico Rafa. Mi piaceva la canzone per Kakà.
Anche Leao è fortissimo: uno di un livello diverso, la 10 ha un ottimo proprietario».
È vero che la Serie A è una scuola di tattica?
«Sì. Mi ha insegnato molto a essere ben posizionato in campo, in particolare nella fase difensiva».
Guardiola, Zidane, Pioli, Ancelotti: i suoi 4 allenatori.
«Ognuno ha il suo metodo e la sua maniera di pensare. Ancelotti è un padre per noi, è anche affettuoso e ci fa sentire al centro».
Il calcio contemporaneo è sempre più aperto?
«Credo di sì e credo che che la nuova regola sui gol in trasferta abbia contribuito a cancellare la tentazione, magari inconscia, di speculare sul risutato».
Ha passaporto spagnolo ma ha scelto di giocare per il paese del ramo paterno della sua famiglia.
«Sono contento della scelta. Voglio ricambiare, vincendo, l’affetto che ho ricevuto dal Marocco».
Il Marocco può vincere il Mondiale?
«Perché no. La nostra rosa è ottima, ci proveremo già nel 2026».
Il suo compagno Vinicius è in prima fila nella lotta al razzismo, come al Milan Maignan: lei sarebbe uscito dal campo dopo gli insulti, come Mike e la squadra a Udine?
«Certo che sarei uscito. Bisogna fare qualcosa, è arrivato il momento di cambiare quello che non va nel calcio».