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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Grassio: «Nordio offende Falcone non voleva le carriere separate»


Nordio cita Falcone e dice che “lui voleva la separazione delle carriere”. Piero Grasso, ma è giusto far parlare chi non c’è più, e non può replicare, per darsi ragione?
«Ho davanti agli occhi la tomba di Falcone a San Domenico e sento che si sta rivoltando dentro…».
Reazione forte la sua.
«Solo direttamente proporzionata rispetto a quello che gli viene fatto dire. È sempre stato lo sport più diffuso quello di attribuire a Falcone dopo la sua morte idee che non lo avevano nemmeno sfiorato, come il pullulare di amici che invece in vita lo avevano accoltellato alle spalle».
Eh già, chi lo ha conosciuto bene ne è consapevole.
«Purtroppo in questi anni è stata sventolata, più e più volte, la bandierina di attribuire a Falcone tesi che a lui non sono mai appartenute, con l’obiettivo di conquistare una qualche credibilità».
Nel caso di Nordio lei vede uno sgarbo, un’offesa alla memoria, oppure solo opportunismo?
«Ci vedo tutto questo. E per giunta pure una fake news».
Lei sa bene però che circolano di continuo sue presunte citazioni proprio sulle carriere…
«Falcone non sposava certe tesi, ma interveniva su una polemica già allora in atto sulle funzioni del pm per come veniva ridisegnato dallariforma Vassalli del 1989».
Lei era amico di Falcone, ma pure giudice del suo maxi processo e poi con lui in via Arenula per lavorare sulle riforme della giustizia. Come fa con i ragazzi delle scuole, ci spiega se Falcone davvero voleva la separazione delle carriere?
«Lui non la voleva affatto. E le spiego perché. Con la riforma Vassalli il pm aveva assunto le funzioni che fino a quel momento erano state del giudice istruttore. Una figura che scompare. In vista del nuovo sistema Falcone riteneva necessaria una maggiore specializzazione e professionalità del pm che doveva assumere compiti del tutto nuovi a partire dalla direzione delle indagini.
Ma non ha mai ipotizzato di escludere il pm dall’ordine giudiziario. Anzi, ha preteso che nelle nuove funzioni fosse garantita la sua autonomia e indipendenza».
Però nei suoi scritti, citati dai fan della separazione, in certi passaggi c’è chi vede le carriere separate.
«Questo lo dice chi strumentalizza le sue parole, astraendole da un contesto più ampio riconducibile a diversi discorsi e momenti in cui era intervenuto sul tema».
Ricordo bene quel volume dei suoi scritti uscito postumo. È da lì che i fautori della separazione traggono piccole citazioni.
«Io non parlo sulle carte, ma alla luce dei tanti discorsi fatti con lui. Nei quali portavo come esempio la mia esperienza personale, prima pm e poi giudice nel maxiprocesso. La mia professionalità si era arricchita nel passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, la mia capacità di valutare le prove s’era accresciuta.
Tant’è che addirittura oggi proporrei, quasi provocatoriamente, che qualsiasi magistrato prima di esercitare le funzioni di pm debba obbligatoriamente fare il giudice per almeno tre anni in un collegio penale».
Lei non è il solo ad avere questa certezza, perché anche Armando Spataro scrive che Falcone parlava della necessità, col codice Vassalli, “di un sapere specialistico” per cui “le conoscenze necessarie del pm per svolgere efficacemente il suo lavoro non coincidessero certo con quelle del giudice”.
«Sono contento di non essere il solo ad avere un ricordo netto di cosa pensasse Falcone a fronte di ricostruzioni distorte e strumentali.
Disegnando la Procura nazionale antimafia Falcone ipotizzava anche che potesse dettare le linee guida sulle indagini. Ipotesi che suscitò l’opposizione dei suoi colleghi e che alla fine fu estrapolata. A conferma che Falcone era convinto assertore dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura».
In questi scambi di idee Falcone le ha mai risposto che voleva la separazione?
«Assolutamente no. Lui riteneva che il potere di indagine che consente di violare la privacy delle persone, di privarle della libertà, di giudicare i propri simili dovesse essere esercitato col massimo della professionalità e per l’unico fine per cui tale enorme potere era stato concesso, cioè per fare i processi con prove supportate da miriadi di riscontri e certamente non per altri fini strumentali, personali o ideologicamente orientati».