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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Intervista a Bonolis

Dice Paolo Bonolis: «L’anno prossimo faccio 45 anni di televisione, senza interruzioni».
Le è venuta voglia di interrompere, Bonolis?
«Non ora, ma succederà. Non voglio restare in video a vita».
Ha attraversato tre ere della tv italiana e realizzato programmi di ogni genere. Rifarebbe tutto?
«Tutto. Quando mi capita di parlare agli studenti di Scienza delle comunicazioni dico sempre: non credete al motto secondo il quale bisogna dare al pubblico quello che il pubblico vuole, pensate sempre a cosa avete voglia di raccontare voi».
Sicuro di aver fatto in carriera solo quello che voleva lei?
«Sì, da quando facevo i programmi per bambini. Non ero fatto per dire: cari bambini, ecco a voi i puffi. Il pupazzo Uan mi dava la battuta: un puffo! E io lo acciaccavo con il piede».
La accusano di aver fatto anche tv spazzatura.
«Non sono d’accordo, ma accetto tutti i giudizi».
Nessun giudizio l’ha mai ferita?
«In passato mi ha ferito l’asprezza personale di alcuni critici televisivi. Non ce n’era bisogno, ma forse serviva a essere letti».
Etero contro omosessuali, bianchi contro neri. Il suo “Ciao Darwin” è per qualcuno il trionfo del politicamente scorretto.
«Che cos’è il politicamente corretto? Il velo di Maya dell’ipocrisia. In quel programma ciascuno è accettato per la sua diversità e non giudicato. Il mondo è diversità, se fossimo tutti uguali sarebbe un’ammorbante noia».
Alcuni suoi colleghi lamentano di sentirsi limitati da una sorta di polizia del linguaggio.
«La cappa la vedo ma non la sento.
Non mi autocensuro e non mi sento limitato. Non metterei mai in difficoltà la persona che ho di fronte, ma voglio poter giocare liberamente con lei. Conta il sentimento che ti muove a dire le cose, non la parola. Quando una signora mi entra in studio ad Avanti un altro e dice “eh, però lo sgabello è alto”, io rispondo: “eh no signora, è lei che è alta un metro”. E la signora è la prima a ridere. È la battuta che gli avrebbe fatto Sordi».
Il cinismo romano?
«Nei film degli anni Cinquanta e Sessanta venivano dette battute fortissime, ma serviva proprio a disinnescare la pesantezza che la cultura dà ad alcune cose e che la natura invece non ha. Oggi questo gioco lo fa benissimo Checco Zalone».
Alcune crociate contro il politicamente corretto partono con le migliori intenzioni e finiscono a Vannacci.
«Vannacci non è politicamente scorretto, è un uomo che dice cose banalissime e la politica, che si infiltra ovunque come l’acqua, se ne impossessa per tornaconto.
Anche per questo da anni la politica mi delude».
Ha smesso di votare?
«No, io voto ma vorrei una politica in cui chi vince prova a fare quello che ha promesso e chi perde non dice per principio che fa tutto schifo. Viviamo un eterno stallo e la politica mette cerottini su ferite laceranti. Il cittadino finisce per essere non più il fine bensì il mezzo per legittimare sé stessa».
Il suo primo voto?
«A memoria potrebbe essere Pannella. Lo incontrai la prima volta a piazza Navona negli anni Ottanta, parlammo solo di fumo».
Legalizzazione delle droghe leggere?
«Macché, proprio di sigarette, ne fumava una quantità industriale».
Per chi vota ora?
«Ho sempre votato nel campo di centrosinistra».
Continuerà a farlo o è tentato dal “vota Giorgia”?
«Vota Giorgia è uno slogan e gli slogan di solito non mi tentano».
Le piace Schlein?
«Alcune cose le capisco, altre no.
Ma ha diritto a provarci, a Veltroni non fu permesso».
Berlusconi cercò di arruolarla come portavoce di Forza Italia.
«Sì, andai a Palazzo Grazioli e mi fece la proposta. Io gli dissi: come faccio a fa’ il portavoce di un partito che non ho manco votato. Si fece una risata. Berlusconi era un uomo simpatico».
Nell’allora Fininvest lavoravano alcune leggende della tv. Mike Bongiorno.
«Da ragazzo io e i miei genitori vedevamo insieme i suoi programmi. Ricordo quando ebbe come concorrente a Rischiatutto Enzo Bottesini. Bottesini si presentò: io sono un sub professionista. E Mike: io sono un sub normale. Ancora ricordo le risate che ci facemmo».
La differenza tra i suoi quiz e quelli di Bongiorno?
«Se Mike chiedeva a un concorrente quanti erano i Beatles e quello rispondeva 21, passava a chiederlo al concorrente successivo. Io, se mi rispondi 21, mi fermo e voglio solo sapere tutto di te, chi sei, da dove vieni, chi te c’ha mandato».
Il suo modello era più Corrado?
«Con Corrado ho avuto anche qualche alterco. Lui era autore e produttore di Tira e molla, ma il programma non funzionava perché io mi sentivo imbrigliato, il copione, la giacca e cravatta. Io non voglio mai niente di scritto, mi sento un situazionista.
Gli chiesi di lasciarmi libertà, lui mi disse: fai come ti pare.
Funzionò».
Raimondo Vianello.
«Il mio mito. Lo incontrai la prima volta durante la cerimonia per il Telegatto, in bagno. Lui mi raggiunse all’orinatoio e disse (imita la voce in falsetto): Bonolis! Che piacere! Spero che non ci si debba dare la mano».

La battuta prima ditutto.
«Sempre. Quando condussi io il Telegatto, Mediaset aveva appena acquisito i diritti del Grande fratello.C’era Natalia Estrada, che all’epoca stava con Paolo Berlusconi, e io dissi dal palco: Estrada, la prima ad aver compreso le potenzialità del grande fratello. Risero tutti e Vianello dalla platea mi faceva gesti agitando la mano davanti alla faccia: ma tu sei pazzo…».
Che successe dietro le quinte?
«Nulla. In Mediaset non ho mai avuto pressioni».
In Rai?
«Nemmeno, ma il problema della Rai è che parli di un progetto con un dirigente e un mese dopo non sai se ci sarà ancora. Decide lapolitica».
Oggi più di prima?
«Non credo sia cambiato molto».
Amadeus se ne è andato facendo filtrare il fastidio per alcuni episodi: la richiesta di incontrare a pranzo Pino Insegno, quella di mettere Povia in gara a Sanremo.
«Io Povia lo portai a Sanremo, due volte. Lo riporterei se avesse un brano forte, non mi sono mai chiesto per chi vota un cantante».
Vorrebbe rifare Sanremo?
«Sì, può darsi che lo rifarò. A modo mio, come quelli che ho già fatto.
Nel 2005 penso di aver dato un contributo importante al cambiamento del festival».
Ci pensa come gran finale di carriera?
«Potrebbe essere una bella chiusura».
Vuole già togliere il posto a Conti?
«Ci mancherebbe altro, sono felice per lui che è uno dei pochi amici che ho nel mondo dello spettacolo insieme a Antonella Clerici e mio fratello Luca Laurenti. Mi è piaciuta tantissimo la risposta che Carlo ha dato a un giornalista che gli chiedeva se temesse di non fare il 74% di share: non lo farò perché non chiuderò mai alle tre di notte».
Lei è uno dei pochi a usare ancora un vecchio telefonino senza connessione.
«Siamo io e qualche narcotrafficante».
Rifiuta l’era social?
«Non è un rifiuto, accetto la modernità ma non per questo devo adeguarmi. Il guaio dei social è che abituano a dipendere dal giudizio altrui, è come una droga, lì per lì ti dà leggerezza, poi diventa una schiavitù».
Un conduttore dipende dallo share.
«Sì, ma è uno. Qui è un fenomeno generale. È la dose che fa il veleno.
E poi questi cosi (indica uno smartphone) hanno tolto realtà ai concetti di spazio e tempo, ma la vita non esiste senza lo spazio e il tempo reali. Diventa tutto un flash.
Qualche anno fa, durante la pandemia, stavo vedendo Il marchese del Grillo con mio figlio allora sedicenne. Dopo venti minuti mi fa: ma quanto dura?».
La parola influencer cosa le suggerisce?
«Una cosa contagiosa».
La tv generalista sarà seppellita dallo showbiz digitale?
«No, mi pare che anche gli influencer a un certo punto debbano passare dalla tv per provare a fare il salto».
Chi le piace dei conduttori di oggi?
«Funziona Stefano De Martino».
Litigò furiosamente con Antonio Ricci.
«Mi fece qualcosa di spiacevole, e glielo dissi in diretta a Domenica in.
Accettai di fare i pacchi, andando contro Striscia, anche per questo».
Lei è sempre stato molto riservato sulla sua vita privata ma ha scelto di separarsi con un servizio di copertina su Vanity Fair. Incoerenza?
«L’abbiamo fatto per i figli, ai quali avevamo già parlato privatamente.
Abbiamo scelto una strada ufficiale per evitare che fossero investiti dal gossip».
A che punto del percorso di vita si sente?
«Quello in cui si restringono gli orizzonti. Ma sto bene, e resto fedele alla filosofa romana dello ‘sticazzi».
Tradotto?
«Bisogna gioire delle luci e accettare le ombre. Come scriveva Kurt Vonnegut: quando siete felici, fateci caso».