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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Intervista a Sandro Veronesi

Sandro Veronesi, scrittore due volte Premio Strega, è tra i cento scrittori e scrittrici italiani invitati al padiglione italiano della Buchmesse, la fiera del libro più importante del mondo. Ma non ci sarà: se andrà a Francoforte, lo farà privatamente. Ha rimesso l’invito (come hanno fatto anche Franco Buffoni, Paolo Giordano, Francesco Piccolo) poco dopo aver appreso che Roberto Saviano non era in lista, «e per ragioni balorde e ridicole», ha scritto in un comunicato, riferendosi a quello che Mauro Mazza, commissario straordinario del governo per la partecipazione dell’Italia da ospite d’onore alla fiera, ha detto quando un giornalista tedesco gli ha chiesto, durante la conferenza stampa di presentazione del programma, il perché dell’assenza dell’autore di Gomorra. E cioè: «Abbiamo voluto dare voce ad autori che non l’hanno avuta finora» e «Abbiamo deciso di selezionare solo scrittori di testi integralmente originali». Da allora, abbiamo assistito al più grottesco dei rimpalli di responsabilità della nostra storia recente. Manca solo che qualcuno accusi il maggiordomo.
Veronesi, pare che siano stati gli editori a non invitare Saviano.«Due giorni fa ero ospite della trasmissione Fahrenheit, su Radio3, quando il presidente dell’Aie, Innocenzo Cipolletta ha rivendicato il comunicato della sua associazione, che si solleva da ogni responsabilità e dice: “Nessuno ci ha proposto Saviano: se fosse successo, non avremmo permesso ingerenze esterne alla volontà degli editori”. Mi ha colpito che Cipolletta abbia soprattutto sottolineato di essere un passacarte, uno che si limita ad accettare quello che gli viene proposto».
L’ha colpita perché qualcosa non torna?
«Non torna niente. È tutto fumoso, inclusa la procedura alla quale tutti si appellano per levarsi dall’imbarazzo: una procedura che non è ancora stato chiarito a chi affidi le decisioni finali. Ma facciamo che non conta: non mi interessa sospettare. Quello che trovo incredibile è che la versione di Cipolletta sia così diversa da quella di Mazza, che dell’organizzazione del padiglione sono i vertici, e, soprattutto, non mi è chiaro come mai durante la conferenza stampa, alla quale erano presenti tanto Cipolletta quanto Mazza, Cipolletta non abbia detto quello che, invece, ha detto il giorno dopo. La versione ufficiale è la prima che è stata data ed è quella di Mazza. E cioè: Saviano non è stato invitato perché si è preferito dare spazio a voci meno note e perché lui ha copiato».Questo intendeva, Mazza, quando ha detto che si è preferito scegliere «autori di testi integralmente originali»?«Certamente. Ha inteso che i libri di Saviano sono dei plagi. Ed è gravissimo perché i plagi a Saviano sono stati contestati anni fa, e mai provati. Sono solo odiose calunnie».Alla luce del sole e sotto gli occhi del mondo.«Guardi, la figuraccia internazionale è l’aspetto più grave di tutta questa vicenda. I tedeschi ci onorano e noi dimostriamo di non aver capito l’importanza di quello spazio, e di non aver capito cosa si va a fare alla Buchmesse e soprattutto di fregarcene di quello che ai tedeschi interessa, evitando di portare uno scrittore che, quando va in Germania per conto suo, riempie i teatri».Nicola Lagioia ha scritto che il calendario degli incontri del padiglione italiano sembra quello di un qualsiasi festival del Pigneto.«Ma certo. Io sono stato invitato a fare una conversazione sul caos con Francesco Piccolo. Sono abbastanza certo che tra questa e un dialogo tra Saviano e, magari, un altro autore internazionale, i tedeschi non avrebbero esitare a scegliere il secondo. Tutto quello che c’è in programma è pensato per il pubblico italiano, però la Buchmesse è una fiera internazionale e, soprattutto, è un evento prevalentemente dedicato agli addetti ai lavori: non è un festival, non è una festa della lettura, non è un evento promozionale. E quello che non accadrà nel nostro padiglione, accadrà altrove: Saviano è stato invitato dagli editori tedeschi».Salvatore Merlo ha scritto sul Foglio che l’Italia è l’unico Paese al mondo dove se perdi un palcoscenico, ne perdi altri due.«No, mi dispiace, l’italianità non c’entra. C’entra, invece, l’ottusità del potere, quando non capisce che tollerare la critica e il dissenso è molto più vantaggioso di ostracizzarli. Bertold Brecht lo racconta perfettamente ne La resistibile ascesa di Arturo Ui: più cerchi di cancellare la scritta “Viva Lenin” e più finisci con lo scolpirla».Lei risente di questo clima? La inibisce, la spegne?«No. Però mi strema. Dacia Maraini ha detto che non se ne può più ed ha ragione. È degradante e avvilente vedere che il dibattito culturale sia ridotto così male. Come scrittore, mi inibisce molto di più il terrore che il mio linguaggio possa essere frainteso. Sto terminando un romanzo ambientato nel 1972: io c’ero, avevo 13 anni, ricordo com’era, come si parlava. L’altro giorno ho scritto un dialogo tra persone normali che parlano di una persona di colore. E dicono: negro. Perché all’epoca si diceva, e senza intenzioni offensive. Ma siccome verrebbe letto male, e quell’innocenza verrebbe fraintesa, mi sono deciso a usare un’altra parola, e così ho tradito un tempo, l’ho forzato. Ecco, io ho di questi problemi».Il piglio autoritario di questo governo la spaventa?«Non so se ci sia un nuovo fascismo ma so che un fenomeno diventa preoccupante quando si incarna. Il culto della personalità di Giorgia Meloni mi dà l’impressione che quel processo sia quasi compiuto».Lei ha detto che l’Italia è sempre stato un Paese di destra.«Sì. Ma la novità recente è che questa destra, che è un’estrema destra, ha alleati dentro e fuori dal Paese. Prima, con i fascisti non si dialogava. L’Italia repubblicana è fondata su una Costituzione tra le più evolute al mondo, che per prima cosa ha abolito la pena di morte. E lo ha fatto per arrestare le esecuzioni sommarie di tutti i fascisti che dal 1945 venivano commesse in nome dell’antifascismo. In quanto Stato di diritto, l’Italia ha arrestato quel processo. Se non lo avesse fatto, i fascisti sarebbero stati uccisi tutti. È stata l’Italia democratica a dire ad Almirante: tu non solo non vieni fucilato, ma una volta che hai saldato il tuo debito con la giustizia, puoi fondare un partito e andare addirittura in parlamento. Questo passaggio della nostra Storia mi sembra sia stato completamente rimosso e sostituito, e questa è la beffa peggiore, dal vittimismo degli esclusi, quelli che dicono: ci avete tenuti ai margini, adesso tocca a noi».Lei si sente maltrattato da questo governo?«Non ricordo governi italiani che abbiano mai manifestato alcun interesse per me o per un qualsiasi altro scrittore. Non abbiamo nella nostra tradizione l’idea che i narratori siano intellettuali da rispettare o addirittura ascoltare, coinvolgere, consultare. Ho bene in mente un’intervista ad Alberto Moravia, poco prima che morisse. Quando gli chiesero che ruolo avesse in Italia, lui rispose: zero».Questo la intristisce?«No. So che quando la politica si interessa a te, vuole qualcosa in cambio. L’unico leader politico che ho conosciuto è Valter Weltroni. Quando dirigeva L’Unità, però».Il Papa l’ha invitata l’anno scorso all’adunata degli artisti.«Non dimenticherò mai la sua lezione: ci disse che gli artisti devono cercare l’armonia e non l’equilibrio. E ci spiegò la differenza sottile ma sostanziale tra le due cose. Nessun premier al mondo sarebbe in grado di fare altrettanto».Uno scrittore che abbia meno forza contrattuale di lei non potrebbe essere condizionato da un governo tanto punitivo come il nostro?«Io frequento quasi solo scrittori. E sono tutti persone integre. Sappiamo tutti che per quanto uno si possa arrabattare per compiacere un potente, ne ricaverebbe ben poco. Nessuna carezza a un leader mi farà mai vendere una copia in più. Quello che guadagno dalla mia integrità è assai più utile di quello che guadagnerei infrangendola».C’è una novità: Mazza ha invitato Saviano. Ha detto che se accetterà, gli troverà la collocazione più idonea. Che ne pensa?«Ma roba da matti». —