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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Il grande gioco di Xi

Pezzi di mondo vanno in fiamme, ma lui è convinto di uscirne illeso. Anzi, rafforzato. Xi Jinping stringe le mani ai leader dei Paesi arabi. Sorridente, fa gli onori di casa col re del Bahrain Al Khalifa, il presidente degli Emirati Arabi bin Zayed Al Nahyan, quello tunisino Kais Saied e con l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Sono tutti alla corte del leader cinese, alla ricerca di affari. Lo elogiano l’accorato discorso in apertura del forum di cooperazione tra Cina e Stati arabi.
Xi chiede con forza due cose: una conferenza di pace internazionale e la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite. Dopo la scelta in tal senso di alcuni Paesi europei, Xi sente di poter rilanciare. Chiede il rispetto dei confini del 1967, promette 65 milioni di euro in assistenza umanitaria per la Striscia di Gaza e altri tre per l’Unrwa, proprio mentre Israele si muove per etichettarla come organizzazione terroristica. Xi correda il discorso con frasi a effetto, come «la giustizia non può essere assente per sempre».
Ma dietro la retorica c’è anche sostanza. Può sembrare strano, considerando il processo di sinizzazione delle sue minoranze musulmane (con tanto di modifica o demolizione delle cupole delle moschee), ma nessuno eccepisce quando Xi parla di «senso di affinità» con i Paesi arabi. Nel giro di un anno, ha favorito il riavvio delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, ottenendone l’ingresso nei Brics insieme agli Emirati.
Poi ha ospitato i colloqui tra Hamas e Fatah. Promette investimenti su sanità e tecnologia, espandendo la cooperazione sulle valute digitali e accogliendo l’emissione di panda bond da parte degli Stati arabi. In cambio ottiene un accesso privilegiato all’import di petrolio e gas, un modo per coltivare partnership alternative a quella con la Russia.
Uno schema utilizzato da tempo anche in Africa, dove sono stati approntati grandi progetti infrastrutturali, accompagnati dallo sviluppo tecnologico e digitale. Il tutto mentre la Cina si è costruita una via preferenziale per l’estrazione di risorse minerarie cruciali per l’industria tecnologica verde, in primis quelle auto elettriche nel mirino dell’Ue.
A livello diplomatico, Pechino agisce con maggiore convinzione sul Medio Oriente, perché sente che la sua posizione è ritenuta più credibile. Anche in occidente, a differenza di quanto accade sull’Ucraina, su cui pesa l’immutato sostegno politico alla Russia. Assumere l’iniziativa su Gaza è insomma un’occasione per rafforzare l’immagine che la Cina vorrebbe proiettare di se stessa, quella di potenza responsabile.
Forse anche per questo, tra le pieghe di un’amicizia che viene esaltata come «inscalfibile»(ma non più «senza limiti»), sembra emergere qualche parziale disallineamento con Mosca. Non tanto per una divergenza di obiettivi, l’ostilità verso Stati Uniti e Nato resta il punto di contatto più importante con la Russia. Quanto semmai per le diverse modalità nel perseguire i propri obiettivi, o forse semplicemente per tempistiche diverse. Ed ecco allora che lunedì si è tenuto a Seul un summit trilaterale tra Cina, Giappone e Corea del Sud, proprio mentre Putin rafforza l’alleanza militare con Kim Jong-un e si appresta a una storica visita a Pyongyang.
Una visita che molti si aspettavano potesse avvenire qualche settimana fa, subito dopo quella in Cina. E, invece, secondo diverse fonti, Pechino avrebbe invitato il Cremlino a organizzarla in un secondo momento. Un segnale che, almeno a livello formale, non ci si vuole appiattire su un asse trilaterale. Anzi, Xi ha riaperto la porta a Tokyo e Seul, i due principali alleati asiatici degli Usa, a cui comunque chiede di tutelare le «legittime preoccupazioni» nordcoreane: stessa formula usata per Mosca sull’Ucraina.
I muscoli restano invece in bella vista su Taiwan, considerata una questione interna, e sul mar Cinese meridionale, dove è alta la tensione con le Filippine. Xi sembra però scommettere che un eventuale ritorno di Trump possa minare il sistema di alleanze rinsaldato da Biden sul Pacifico, portando anche Manila a più miti consigli sulle dispute territoriali.
Intanto, esulta per la richiesta di adesione ai Brics della Thailandia e sorride per l’intitolazione di una strada a suo nome in Cambogia. E, guardando verso il Sudamerica e il G20 brasiliano, pensa già a un’altra scommessa di sponda con Lula: una conferenza di pace sull’Ucraina, stavolta con Putin. Sempre che l’occidente sia abbastanza stanco della guerra da considerarla un’opzione accettabile. —