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 2024  maggio 31 Venerdì calendario

Intervista a Sangiuliano


Cent’anni dall’ultimo discorso di Giacomo Matteotti in Parlamento, prima del suo assassinio da parte degli squadristi fascisti, «e la sua figura si staglia ancora nella memoria civile della nazione», riconosce il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che il 10 giugno assicura la sua presenza alla cerimonia, a Roma, in ricordo del «delitto con cui si rivelò – dice – il vero volto del fascismo».
Quale messaggio politico legge in queste commemorazioni, a un secolo di distanza?
«Matteotti era un personaggio di notevole caratura e il suo fantasma aleggiò per tutti gli anni della dittatura fascista, come un sinistro memento. Con il delitto Matteotti ogni residua, teorica speranza che il regime fascista potesse conservare traccia – o almeno un’apparenza – democratica, potesse garantire il diritto al dissenso, sociale e politico, venne meno».
La segretaria del Pd Elly Schlein sostiene che la violenza fu un elemento strutturale dell’esperienza fascista. Condivide?
«L’analisi storica è molto più complessa. Ovviamente la violenza politica va sempre respinta e condannata. Consiglio alla Schlein di leggersi Umberto Terracini, Giorgio Amendola e Antonio Gramsci. Piuttosto ancora aspetto che la segretaria del Pd dica qualcosa sulla violenza comunista in Italia. Quella del ‘biennio rosso’ che lo stesso Matteotti condannò, le foibe e quello che avvenne in Emilia Romagna alla fine della guerra. Così come l’invasione dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968».
Restiamo sui crimini di Mussolini in Italia. Trova che i valori fascisti rappresentino tutt’ora un pericolo per la democrazia?
«Sul piano politico non vedo alcun pericolo fascista. Sul piano dei valori e delle enunciazioni dei principi sicuramente lo sono, come lo sono quelli comunisti. Condannati al pari del nazionalsocialismo nella risoluzione del Parlamento Europeo del 2019, votata da Popolari, Identitari, Conservatori e Socialisti. Le ricordo che non tutti gli esponenti del Pd ebbero il coraggio di approvare quel testo che recita: “L’integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari”. Più chiaro di così…».
La libertà di espressione è uno dei valori celebrati in questi giorni. Come risponde a chi denuncia una sistematica emarginazione, da parte del governo, degli intellettuali “di sinistra”?
«Io ho subito molte censure e tentativi di censura. Una volta sono stato violentemente attaccato per aver dedicato un servizio tv al sacrificio di Jan Palach. Così come ogni volta che mi sono occupato delle Foibe. Quando non venivo insultato mi si diceva che il tema non interessava. Proprio perché ho subito la censura e gli attacchi non riesco neanche ad immaginare di farne verso altri. Sono un conservatore liberale e un giornalista e per me la libertà di espressione è tutto. Se poi si riferisce alle polemiche degli ultimi giorni sulla fiera di Francoforte mi sembra si voglia montare per forza un caso sul nulla».
È stato un errore censure il monologo di Scurati sull’omicidio Matteotti?
«Il primo monologo gliel’ha fatto fare liberamente Sangiuliano. Da direttore del Tg2 l’ho fatto intervistare ben tre volte, di cui due nella stessa edizione del telegiornale quando vinse il Premio Strega».
Matteotti può rappresentare un modello per la destra?
«Era originario del poverissimo Polesine, dove si moriva per malaria o denutrizione. Non ho problemi ad ammettere che molte sue battaglie a favore delle classi disagiate e dei più deboli sarebbero state anche le mie, perché personalmente credo nel valore della solidarietà e della socialità. E credo, come lui, nel ruolo dello Stato per correggere gli squilibri e dare a tutti le medesime condizioni di partenza. Matteotti, prima di diventare martire, fu uno studioso di diritto con scritti di grande acume e originalità. Durante i suoi studi giuridici scrisse un testo, “La recidiva: saggio di revisione critica con dati statistici”, pubblicato a Torino nel 1910, in cui trovo dei passaggi sorprendenti ripresi di recente anche nel volume “Giacomo Matteotti. Un italiano diverso” di Gianpaolo Romanato».
Quali?
«Uno su tutti: “Peggio di questo aspetto è Napoli dove, malgrado tutto, la camorra continua a dominare, abbassando il livello morale di quel paese. La razza, le tradizioni antiche, la trascuranza e le acquiescenze dei governi attuali, hanno prodotto in tutto il meridione una tale condizione di cose, una tale crisi morale epidemica, alla quale solo nei grandi atti di energia potranno porgere un reale riparo. Perché non è certo riparo quello che produce l’emigrazione di massa di contadini della Basilicata"».
E cos’è che l’ha sorpresa?
«È anticipatore di battaglie sociali, come quella di Caivano, che ci vedono impegnati con convinzione. E anche un convinto oppositore del trasformismo, che noi con la riforma del premierato vogliamo seppellire. Esemplare al riguardo è quanto avvenne il 28 maggio 1920 quando concluse il suo intervento in occasione del voto di fiducia al secondo governo Nitti, così come riportato sempre nel saggio di Romanato: “Voi del governo avete mandato intorno con la lanterna di Diogene i vostri rappresentanti per cercare di formare una maggioranza. Pensate però che le maggioranze si formano sulle idealità e non su basi personali. Può essere utile che voi mandiate intorno a collaborazioni su tutti quei banchi che ancora non si nutrono di alcun programma, che ancora vivono alla giornata, su quei banchi dove ancora si tergiversa tra un programma politico e la difesa o la conquista di un privilegio; ma non potete trovarla su questi banchi dove si vive con un programma unico di idealità socialista"». —
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