il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2024
Separano le carriere in base alle favole
Errare è umano, perseverare è diabolico. Con il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere si tenta di portare alle estreme conseguenze la serie di errori avviata con l’approvazione del Codice di procedura penale del 1988 (entrato in vigore nel 1989) che, oltre ad avere messo in ginocchio la giustizia penale, ora induce a stravolgere la Costituzione.
L’inserimento in un ordinamento di civil law (il diritto europeo continentale) di caratteristiche estranee asseritamente ispirate dal sistema di common law (di origine britannica), peraltro nell’immaginaria versione delle serie tv, non solo triplicò la durata dei processi, ma determinò una serie di pronunce di illegittimità costituzionale e fece aumentare esponenzialmente le condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, non solo per la durata dei processi, ma anche per l’inadeguata protezione delle vittime. Andiamo con ordine.
1) Il codice ha violato la premessa contenuta nell’art. 2 comma 1 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 che statuiva: “Il Codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”.
2) L’oralità nel processo da “metodo” art. 2 comma 1 n. 2 legge è diventato dogma. Si pensi all’art. 511 comma 3 cod. proc. pen. “La lettura della relazione peritale è disposta solo dopo l’esame del perito”; cioè, il giudice non può leggere la relazione del perito da lui nominato se prima questo non è stato prima interrogato dalle parti.
3) L’immediatezza, che alla luce della durata dei procedimenti, fa sorridere, ha determinato per anni l’irragionevole ripetizione di atti (anche quando video registrati) in caso di mutamento del collegio giudicante (sempre più frequente per la durata dei procedimenti), nuovamente frutto di un dogma e non di pragmatismo.
4) È stata scelta quale fondamento del giudizio l’ignoranza del giudice col pretesto di non condizionarlo, confondendo il giudice professionale con i giudici popolari. Le conseguenze sono continue contraddizioni fra le decisioni dello stesso giudice, ad esempio, in tema di ammissione e revoca delle prove ed il compimento di atti in larga parte inutili. Fenomeno aggravato dall’abolizione dell’esposizione introduttiva.
5) È stato trascurato il principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) di per sé incompatibile con un processo accusatorio puro. Il controllo del giudice sulla inerzia del pm è insufficiente e inefficace.
6) Il codice è incentrato sulla prova dichiarativa mentre la realtà processuale si fonda sempre più su prove scientifiche, intercettazioni e sorveglianza elettronica.
7) Le inutilizzabilità soggettive (limitate a un solo imputato, ad esempio, per prove acquisite dopo la scadenza del termine di indagine) hanno un effetto deleterio sulla psicologia del giudice, il quale conosce prove che valuta (per altri imputati) e che non può utilizzare: contraddizione che smentisce il principio del giudice pagina bianca.
8) Sono state mantenute le impugnazioni tipiche del processo con istruzione in evidente contrasto con i principi di formazione della prova in contraddittorio innanzi al giudice, dell’oralità e dell’immediatezza nel giudizio di primo grado.
9) I riti alternativi, com’era prevedibile, non hanno funzionato. Essi erano la condizione per la possibilità del nuovo codice di consentire la celebrazione dei processi in tempi ragionevoli. Peraltro, se avessero funzionato nella misura analoga a quella dei Paesi di common law, vi sarebbe stata la generalizzata riduzione delle pene di un terzo o fino a un terzo per il 90% delle condanne, senza che l’opinione pubblica ne venisse informata. La speranza di funzionamento del codice era legata all’ipotesi che la maggior parte dei procedimenti fosse definita con riti che escludevano l’applicazione del rito ordinario, che si assumeva improntato a principi di civiltà inderogabili.
10) La durata dei processi, in conseguenza di quelle scelte errate, è aumentata a dismisura.
Di fronte al plateale fallimento del codice, alla violazione della Costituzione (che avrebbe dovuto rispettare), della delega e delle convenzioni internazionali, anziché prendere atto che le scelte operate erano in contrasto con la Carta e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, oltre che col buon senso, la legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 modificò l’art. 111 della Costituzione, per adeguare la Costituzione al codice. Oggi, perseverando negli errori, si dice (come fa il ministro Carlo Nordio) che occorre separare le carriere dei magistrati del pubblico ministero da quelle dei giudici per completare il processo accusatorio. Ancora una volta non si sa di che cosa si parla.
Si dice che altrove le carriere sono separate, senza sapere che nei Paesi di common law semplicemente le carriere non esistono. Negli Usa, a livello federale, i giudici sono nominati a vita per il singolo posto (dal presidente con l’approvazione del Senato), mentre i procuratori sono assunti (ed eventualmente licenziati) dal presidente. Quando Bill Clinton fu accusato dal Partito Repubblicano di aver nominato troppi giudici del Partito Democratico, si difese dicendo che li aveva scelti per lo più tra i procuratori federali! Per il processo di Norimberga gli Stati Uniti indicarono come pm un giudice della Corte Suprema: Robert Houghwout Jackson.
Mentre in Italia si discuteva di separazione delle carriere, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa aveva approvato il 6.10.2000 la Raccomandazione Rec (2000) agli Stati membri sul ruolo del pm nell’ordinamento penale che procede in senso contrario. In tale Raccomandazione ai punti 17 e 18 infatti si legge: “17. Gli Stati prendono provvedimenti affinché lo status giuridico, la competenza e il ruolo procedurale dei Pubblici ministeri siano stabiliti dalla legge in modo tale che non vi possano essere dubbi fondati sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. In particolare, gli Stati garantiscono che nessuno possa contestualmente esercitare le funzioni di Pubblico ministero e di giudice. 18. Tuttavia, se l’ordinamento giuridico lo consente, gli Stati devono prendere provvedimenti concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di Pubblico ministero e quelle di giudice o viceversa. Tali cambiamenti di funzione possono avvenire solo su richiesta formale della persona interessata e nel rispetto delle garanzie”. Ancora una volta si raccontano favole, smentite dai documenti internazionali.
Poi c’è la versione “garantista” secondo cui la separazione delle carriere assicurerebbe l’uguaglianza delle parti nel processo penale, senza considerare che in nessuna parte del mondo le parti possono essere uguali. Se il pm andasse in udienza sapendo che l’imputato è innocente e ne chiedesse la condanna commetterebbe il delitto di calunnia; se sostenesse questa accusa con atti falsi da lui redatti o da altri (conoscendone la falsità) commetterebbe il delitto di falso ideologico o materiale in atto pubblico o di uso di atto falso. Cioè, commetterebbe delitti se mentisse. Se il difensore dell’imputato, informato dal suo cliente della sua colpevolezza, colto da crisi di coscienza, dovesse dire al giudice “non penserà di assolvere il mio cliente? Se lo scarcera domani ammazzerà qualcun altro”, commetterebbe i delitti di infedele patrocinio e di rivelazione di segreto professionale. Cioè, commetterebbe delitti dicendo la verità! Qualcuno può spiegare che uguaglianza può esserci fra due parti così?
Infine, la stucchevole affermazione che Giovanni Falcone fosse favorevole alla separazione delle carriere è smentita dal fatto che egli svolse sia funzioni giudicanti che requirenti.
Del resto basta il buon senso per capire che la miglior garanzia per un imputato è che il pubblico ministero ragioni come un giudice.