la Repubblica, 30 maggio 2024
I libri fanno paura
E niente, non ce la fanno. Ogni volta che all’orizzonte si profila quella cosa fatta di carta e piena di pagine e con tutte quelle parole in ogni pagina, sale l’ansia da prestazione. Che, come si sa, è il primo passo verso il fallimento. E così, pur vedendola arrivare, non riescono a schivarla, figuriamoci a domarla. E puntualmente dicono o fanno la cosa sbagliata. Sempre. Il libro, come oggetto prima ancora che come strumento, la parola libro, come significante prima ancora che come significato, li manda in confusione. E dunque, rieccoci. Stavolta però non è la solita gaffe del ministro della Cultura che durante la serata finale dello Strega confessa (lapsus da ansia da prestazione) di aver votato ma non letto i libri finalisti, anzi sì, ma non come avrebbe dovuto, anzi no, si riserva di approfondire.
Ne è il solito mantra del Gramsci grande italiano nonostante il dettaglio del comunismo ma che sull’egemonia culturale la pensava come loro. O l’inarrivabile uscita del Dante fondatore del pensiero di destra.
O ilmemoir del generale arrivato al secondo libro (di solito la prova più difficile per uno scrittore) e che per il terzo potrebbe usare come titolo direttamente Mein Kampf(battuta rubata a Saverio Raimondo ndr).
Queste sono cose nostre, panni che preferiremmo lavare in famiglia all’interno dei confini nazionali (patria se si vuole, anzi povera patria). Ora invece ci lanciamo nell’export. Siamo Paese ospite alla Fiera del libro (eccolo di nuovo che arriva) di Francoforte e l’ansia da prestazione è a livelli di guardia. E infatti, a cinque mesi dalla Buchmesse, dalle parti della maggioranza già sono saltati i nervi: Roberto Saviano, probabilmente con Elena Ferrante lo scrittore italiano più noto nel mondo, non farà parte degli ospiti decisi dal governo. E uno. Paolo Giordano e Antonio Scurati profeticamente avevano già declinato. E tre. Poi: Francesco Piccolo e Sandro Veronesi, grazie lo stesso, ma visto il trattamento riservato a Roberto noiandiamo a Francoforte per conto nostro. E cinque. Poco dopo Emanuele Trevi: o Saviano viene o non vengo. E sei. Mentre andiamo in stampa l’elenco delle defezioni si sta allungando ma basterebbero queste per intuire la grande pozzanghera di melma, diciamo così, in cui il commissario straordinario del governo Mauro Mazza, ex Tg2, si sta impantanando. E con lui il governo. E con il governo il Paese ospite, cioè noi. E come se ne esce? Come sempre male, malissimo, dal punto di vista della forma. Prima Mazza, per non sbagliare, offende Saviano (e i suoi milioni di lettori) definendo la sua opera “non originale” poi aggiunge: «Vogliamo valorizzare nomi nuovi», e rioffende in un colpo solo Alessandro Baricco, Maurizio De Giovanni,Melania Mazzucco, Claudio Magris e le altre decine di scrittori ospiti da Viola Ardone a Chiara Valerio che si guadagnano da vivere da anni con il loro mestiere il cui successo è piuttosto avventato definire una novità.
Ma soprattutto non se ne esce nella sostanza. Perché resta il grande non risolto: da che cosa nasce questa paura, questa ansia che diventa furore autodistruttivo quando si tratta di cultura? Dove affonda le radici questo eterno e sempre vigile risentimento nei confronti di quello che qualcuno ha chiamato con disprezzo il partito degli intellettuali, ovviamente di sinistra? Da quello che lo stesso Saviano ha definito come il timore di un dissenso che non sia il dissenso che vogliono loro. Esiste un dissenso per così dire gradito, quello che aiuta a stringere l’elettorato intorno al capo, o ammesso che si possa e si debba usare il femminile, la capa. Il dissenso ideologico, il dissenso che polarizza, il dissenso che individua “il nemico”. Quando le cose si fanno più complesse e il dissenso è nella stessa ragione d’essere di ciò che per brevità chiamiamo cultura (confezionato nella forma di un libro) non resta che cercare di schivare il colpo. E se non si riesce, pazienza. Resta sempre l’intimidazione.