Avvenire, 30 maggio 2024
Le esecuzioni nel mondo aumentate di un 31%
Il numero delle esecuzioni registrate nel 2023 è il più alto da quasi un decennio: lo scorso anno ne sono state eseguite 1.153, con un aumento del 31 per cento (+270) rispetto alle 883 registrate nel 2022 da Amnesty International, che a livello internazionale è tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte. Quella del 2023 è la cifra più alta registrata dalla Ong britannica negli ultimi dieci anni, fatta eccezione per il 2015 quando le esecuzioni furono 1.634.
Va ricordato che questi dati non includono le migliaia di persone presumibilmente condannate a morte in Cina, così come non tengono conto di altre esecuzioni che si ritiene siano avvenute in Corea del Nord e Vietnam, Paesi da cui non è possibile recuperare dati. Nonostante questo aumento, il numero degli Stati che hanno eseguito condanne a morte ha raggiunto un minimo storico. Paradossalmente questo è l’unico dato che si possa leggere in una maniera più positiva: viene confermata, infatti, la tendenza in corso negli ultimi anni che indica un isolamento sempre più crescente dei Paesi, la stragrande maggioranza dei quali sono regimi autoritari, che ancora utilizzano le condanne a morte e le esecuzioni come strumento di repressivo e di deterrenza per il controllo sociale. Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate ha avuto luogo in soli due Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord: in Iran (74%) e in Arabia Saudita (14%). Negli Usa i progressi degli ultimi anni hanno segnato il passo: il numero delle esecuzioni è aumentato del 33%, passando da 18 nel 2022 a 24 nel 2023. La Florida ha effettuato le sue prime esecuzioni (6) e le autorità federali statunitensi hanno emesso la prima condanna a morte dal 2019. Altri passi indietro sono stati registrati nell’Africa subsahariana, dove sono aumentate sia le condanne a morte sia le esecuzioni. Tutte le 38 esecuzioni sono avvenute in un unico Paese: la Somalia.
In generale, questo aumento delle esecuzioni registrate è stato in gran parte attribuibile a un’allarmante impennata delle esecuzioni per reati legati al traffico di droga in Iran. Questi reati non possono essere puniti con la morte secondo il diritto e gli standard internazionali sui diritti umani. Eppure ignorando queste restrizioni a livello internazionale sull’uso della pena di morte, in modo sproporzionato sono state colpite le comunità più emarginate dell’Iran, in particolare uomini e donne della minoranza etnica Baluchi. Sono state registrate 508 esecuzioni per reati legati alla droga: 481 in Iran; 1 in Kuwait, 19 in Arabia Saudita; 5 a Singapore. Il numero totale di 508 costituisce il 44% del totale a livello globale. Inoltre, almeno 8 esecuzioni pubbliche sono state registrate in Afghanistan (1+) e Iran (7), dove almeno altre 5 persone sono state condannate a morte e uccise per crimini avvenuti quando avevano meno di 18 anni.
La Bielorussia è rimasta l’unico paese in Europa ad aver utilizzato la pena di morte, condannando a morte una persona nel 2023. Mentre Russia e Tagikistan hanno continuato a osservare moratorie sulle esecuzioni.Oltre alle esecuzioni, anche le condanne alla pena capitale sono state 2428, il 20 per cento in più rispetto al 2022.
«La pena di morte sarà nuovamente esaminata all’assemblea generale delle Nazioni Unite di quest’anno» ha ricordato la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, esortando tutti i governi a sostenere l’appello dell’Onu per porre fine all’uso della pena di morte in un fondamentale atto di impegno per i diritti umani