il Giornale, 30 maggio 2024
Contro Saviano
N
on poteva non partire il piagnisteo di Roberto Saviano, che non è stato invitato alla Fiera del libro di Francoforte per rappresentare l’Italia. A me fa ridere una cosa: dove non c’è Saviano c’è censura, intimidazione, esilio. Ma gli altri? Io stesso, l’ho già scritto più volte, fui censurato da Saviano quando era in Mondadori (e ci entrai appena lui andò via, e se ne andò senza che nessuno lo cacciasse). C’è Sandro Veronesi che corre in soccorso di Saviano: «Ragioni balorde e ridicole, senza Saviano non vado», non ci sarà Veronesi, se ne faranno una ragione. È come il monologo censurato di Scurati, che penso sia stato il monologo più letto degli ultimi anni (pensa te come siamo messi). Immediatamente invitato da Fabio Fazio.
Eppure ci sono tanti scrittori e scrittrici (altro che Saviano e Scurati), che a Francoforte non sono stati invitati, ma non se ne lamentano, e soprattutto non vengono mai nominati, o inclusi, dalla solita compagnia di giro. Penso a Barbara Alberti, tra le più grandi scrittrici italiane, o idem a Isabella Santacroce, o a Piersandro Pallavicini, o a Giuseppe Culicchia, o a Paolo Nori, e diversi altri (non tantissimi, i grandi scrittori non sono mai tanti in ogni secolo, sebbene i club ci siano sempre stati, negli anni Dieci conoscevano tutti Pierre Hamp, il Saviano dell’epoca, e non Proust, mentre oggi Pierre Hamp lo ricordiamo solo perché compare nell’epistolario di Proust, che si lamentava con Gallimard di dargli troppo spazio). Non li sentite strepitare semplicemente perché scrivono opere, è quello che gli interessa. D’altra parte se andate in giro a chiedere chi è Saviano lo sanno tutti, se chiedete chi è Pallavicini o Culicchia o Nori molto meno.
Prevengo già le obiezioni di qualcuno (i fan di Saviano e compagnia faziosa): tu, Parente, scrivi questo per invidia. No, semplicemente perché le mie opere continuano a essere ristampate da vent’anni e non voglio apparire: se mi invitano in tv non vado, al Premio Strega ho detto no, al Salone del libro, invitato da Nicola Lagioia, ho detto no (ho censurato io la mia presenza al Salone), e ai miei editori dico sempre che non presento i miei libri, si presentano da soli, e per il resto non ho voglia di vedere nessuno. Quindi l’accusa di «rosicamento» la rispedisco al mittente: non proiettate voi stessi su di me, dico sempre no grazie e non esco neppure di casa per non vedere nessuno, sono un misantropo assenzialista in un mondo di presenzialisti, e ne pago anche le spese.
Tuttavia, nonostante le mie opere siano studiate ormai da anni, sono stato mai invitato da Fabio Fazio? No. Ho gridato alla censura? No. Ma da Fazio non ho visto neppure i succitati scrittori più originali del nostro
sciagurato Paese, mai, che magari ci sarebbero andati volentieri, pur non scalpitando per andarci. Solo che non essendo incasellati politicamente non interessano, troppo pericolosi.
Ma torno ai soliti noti, sebbene la notorietà non ce l’abbiano per ragioni letterarie, e qui si spiega il trauma di non essere in un posto o in un altro: il problema è sempre farsi vedere, mostrarsi, monologare, come fossero degli influencer. Hanno sbagliato mestiere. Dovevano fare i politici, perché è l’unico argomento per cui fanno parlare di loro: non mi hanno invitato qui, non mi hanno invitato là. Non so se vi ricordate, ma quasi vent’anni fa Lagioia, Scurati& Company, fondarono i «TQ», i «Trentenni-Quarantenni» che volevano visibilità (che categoria è un movimento basato sull’anagrafe? Ora cosa sono? I CS?).
Di contro non ho mai visto uno che non fosse del loro giro chiamato a discutere di qualcosa nei posti controllati da loro, mai. Dicessero tra l’altro qualcosa di originale, macché, sempre le stesse cose come fossimo rimasti negli anni Sessanta (tra l’altro già rese sublime parodia in quel capolavoro che è Fratelli d’Italia, il romanzo, non il partito, nel 1963).
Eppure Valerio Chiara, in quota PD (sta capendo che conviene buttarsi nella politica seriamente), ha un discreto potere editoriale da anni, una volta l’ho chiamata al telefono e mi ha risposto «Massimiliano Parente, siamo pazzi?», e clic. Senza sapere neppure cosa volevo dire (non essere invitato da nessuna parte, questo è poco ma sicuro). Tra l’altro su questo giornale ho scritto negli anni di pressoché tutti gli scrittori italiani, quando bene e quando male (e anche bene di un libro Saviano, l’unico con un valore letterario, La paranza dei bambini, perché un libro buono dài e dài esce a tutti), non sono mai stato censurato. In compenso se uno leggesse solo Repubblica o negli anni avesse guardato solo le trasmissioni di Fazio non saprebbe neppure della mia esistenza (su Repubblica fino al 2000 hanno ignorato tranquillamente decine di romanzi di Aldo Busi).
Ogni anno, d’altra parte, sono sempre gli stessi che scalpitano per il Premio Strega, che non hanno mai dato né a Arbasino né a Busi (e nonostante anche politicamente abbiano espresso opinioni ben più forti e interessanti, non hanno mai gridato alla censura, anche perché le vere censure avvengono in silenzio, ve lo assicuro). In questo capisco solo una cosa: la fiera di Francoforte è l’ennesima Fiera delle vanità di cui si lamenta chi non può andare lì a esibirsi. Tutto il resto è noia, soprattutto ciò che non resta, e di questi, se non si agitassero così per stare a galla, cosa volete che resti.