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 2024  maggio 30 Giovedì calendario

Questa pagina è chiusa per Siae

Nota: I riquadri per le foto di opere d’arte di questa pagina erano bianchi a causa di tariffe esorbitanti ed eccessi di burocrazia la Società italiana degli autori ed editori


Picasso, Matisse, Morandi e Giacometti sono spariti. Non è un errore né uno scherzo: quelli che vedete qui in pagina al posto delle opere sono proprio spazi bianchi. Perché all’arte, nelle redazioni dei giornali, siamo costretti sempre più spesso a rinunciare. «È Siae». Il responso del desk fotografico di Repubblica suona come una sentenza, quando scopriamo chi tutela l’artista di cui vogliamo occuparci. Parte allora la caccia alla liberatoria. Tramite gli uffici stampa, si contattano gli studi d’artista, gli eredi o gli aventi diritto per ottenere il via libera all’utilizzo delle immagini. Se va bene, si inviano poi con largo anticipo gli impaginati in pdf alla Siae per il placet definitivo, allo scopo di evitare multe da migliaia di euro. È un succedersi di email che può andare avanti per settimane, a volte senza alcun risultato. È qualcosa che i colleghi internazionali stentano a capire. Inutile girarci intorno: la Società italiana degli autori ed editori ha ormai reso impossibile il nostro lavoro. Un tariffario dei diritti di riproduzione sempre più costoso e una macchina burocratica implacabile rallentano, talvolta impediscono, la pubblicazione degli articoli. La libertà di informare è sottoposta al vaglio di terzi. Cassare la recensione di una mostra – quando gli artisti o i loro eredi sono iscritti alla Siae – diventa allora la soluzione più veloce ed economica. Con buona pace del diritto di cronaca, però.
Eppure il 26 novembre 2023 una sentenza del giudice di pace di Lucca avrebbe dovuto fare scuola. Per adesso, invece, giace come lettera morta. In quel caso, in seguito al ricorso di Aw ArtMag, rivista di settore, si ribadiva «il principio cardine della legge sul diritto d’autore, in base alla quale è libero l’uso delle immagini ai fini di critica e discussione e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica». Nel contesto specifico, la rivista non violava il diritto di riproduzione delle opere d’arte perché non era «l’effettivo utilizzatore» e «non ne ha tratto profitto». Insomma, non è una questione di merchandising o di pubblicità. Ma la Siae, ovviamente, ha fatto ricorso.
Qui è in gioco l’informazione culturale. Se ogni singola immagine oggi è a portata gratuita di click, il racconto dell’arte rischia di restare vuoto. Nel nuovo “Compendio 2024 delle norme e dei compensi per la riproduzione di opere delle arti figurative”, pubblicato online, la società interpreta la norma in chiave restrittiva: per “diritto di cronaca” è inteso un semplice trafiletto che presenti la mostra con i dati essenziali. Allora sì, in questo caso, l’immagine – poco più grande di un francobollo – è concessa a titolo gratuito. Le agende di appuntamenti sono salve. Il diritto di informare no. Ma non è stato sempre così. Secondo una prassi consolidata, gli uffici stampa, d’accordo con la Siae, fornivano alle redazioni dei giornali un pacchetto di immagini “libere”, già pagate allo scopo, per illustrare gli articoli dedicati alle mostre. Dal 2021 le regole sono cambiate. La pandemia, che ha causato per mesi lo stop di cinema e spettacoli dal vivo, ha fermato il flusso di introiti essenziali per la sopravvivenza della Società italiana degli autori ed editori. Il recupero crediti si è spostato sull’editoria, interrompendo di fatto una collaborazione tra istituzioni culturali e giornali che aveva come unico scopo l’interesse collettivo. Interpellata su questi temi, la Siae risponde che «le tariffe applicate sono stabilite in accordo con i nostri aventi diritto ed in linea con quelle applicate negli altri Stati europei». E ancora: che «in merito al diritto di cronaca» si lavora a «una interpretazione univoca ed oggettiva che punti ad eliminare ogni interpretabilitàe fraintendimento». Tra gli obiettivi c’è anche la semplificazione del “Compendio delle norme”.
La scure della Siae, intanto, non si è abbattuta soltanto su quotidiani e riviste. I musei – quelli d’arte contemporanea in particolare – hanno aperto un tavolo di discussione con la società. Amaci, l’associazione che li rappresenta, chiede solo di pagare i diritti d’autore in modo equo. Alcuni hanno ricevuto richieste di pagamento per progetti risalenti ad anni fa. Sono in ballo i costi sempre più alti di cataloghi, riproduzioni per i siti web, manifesti pubblicitari, brochure. E persino delle guide brevi gratuite che rappresentano lo strumento democratico per eccellenza che ha come unica finalità quella di avvicinare alle mostre un pubblico più ampio possibile. Lo scorso anno, il Museo Morandi ha dovuto rinunciarvi: il compenso richiesto dall’avente diritto, sommato alla Siae, risultava 8-9 volte superiore rispetto al tariffario standard. Con queste regole, nella filiera della produzione di mostre, i soggetti più potenti hanno buon gioco di prevalere sugli altri per il semplice fatto di essere in grado di pagare. E rapidamente, pure.
A rischio è anche l’archivio Raam (Ricerca Archivio Amaci Musei), nato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura con Amaci. Si tratta di un progetto che rende accessibile online il patrimonio pubblico dell’arte contemporanea italiana, raccogliendo opere dal 1966 a oggi. Molti autori in catalogo, viventi o morti da meno di settant’anni – manco a dirlo – sono tutelati dalla Siae. Scaduto l’accordo sui diritti, è iniziata una fase di rinegoziazione. Ogni lemma sottoposto a pagamento – sono migliaia – va caricato e inviato alla macchina burocratica per l’ok. E, tra gli artisti, c’è chi inizia a chiedersi se questa dei diritti sia davvero una tutela oppure no. Impedire il racconto dell’arte equivale a una cancellazione: avete presente un’opera di Emilio Isgrò? Ecco, continuate a immaginarla perché non possiamo farvela vedere: è tutelato Siae pure lui.

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Se si ferma il dovere di cronaca
DI DARIO OLIVERO
La protesta di queste pagine ha soprattutto valore di testimonianza.
Chiediamo scusa ai lettori: pubblicare nella cultura di Repubblica un articolo senza immagini è innaturale, scioccante e doloroso anche per noi. Ma quando la ragione si inceppa, il buon senso viene meno e il dialogo si spegne, l’unica strada è il silenzio delle cose come sono: show, don’t tell, non dirlo, mostralo. Quello che i nostri lettori hanno davanti agli occhi è il mondo dell’informazione culturale secondo la Siae, Società degli autori ed editori italiani, ente pubblico che protegge, cioè riscuote, i diritti sulle opere di ingegno. Lo fa sotto la vigilanza della presidenza del Consiglio e dei ministeri delle Finanze e della Cultura. E lo fa, sia detto per inciso, in regime di monopolio. Non per inciso invece va detto che il diritto d’autore è una conquista fondamentale della modernità e la protezione dei contenuti intellettuali va salvaguardata e difesa, come ben sa chi lavora nel mondo dell’informazione. Ma che cosa accade quando due diversi diritti, e interessi, entrano incredibilmente, burocraticamente, grottescamente, in una parola “italianamente” in conflitto?
Accade infatti che in democrazia esista il diritto-dovere di cronaca e di critica, in questo caso applicato alla cultura, il cui sviluppo, ricordiamolo, è promosso dalla Costituzione. Come si legge nell’articolo a fianco, dare conto di una mostra, raccontare un quadro, ripercorrere le tappe della storia dell’arte sta diventando impossibile per l’aumento dei costi di riproduzione applicati senza nessun riguardo per il diritto-dovere di cronaca. Inoltre, la Siae ha i difetti di ogni burocrazia, specie se italiana, e i suoi tempi di reazione mal si sposano con quelli contingentati di un giornale che deve decidere in fretta, pubblicare in fretta, chiudere in fretta. E il diritto di cronaca? Il diritto dei lettori di sapere di quali opere si sta parlando? La risposta è nella pagina che stiamo pubblicando.