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 2024  maggio 30 Giovedì calendario

Intervista a Alex Britti

Tanti tour, tanta chitarra, suo figlio Edoardo. Per Alex Britti le priorità sono due: la paternità, di cui parla con entusiasmo contagioso esprimendo tutta la gioia dell’essere padre a 360 gradi; la musica suonata, con il tour appena partito che si chiuderà il 18 ottobre a Roma. Una lunga scia di successi alle spalle, Britti da tempo lancia singoli in cui si diverte a sperimentare, a mischiare il blues con altri generi: l’ultimo èUomini, che tra ukulele e citazioni reggae lancia una riflessione sulla posizione del maschio in un’epoca complicata, di contraddizioni.
Britti, a che punto sono questi uomini?
«Siamo ancora in una fase di transizione verso la libertà. Più si scende verso il Sud del mondo e più si fa fatica a capire chi siamo. In certi Paesi, dove alle donne è vietato tutto, si percepisce una grande insicurezza. Qui siamo in una cultura di mezzo, l’Italia è un’isola che galleggia a spasso per il Mediterraneo, ogni tanto ci avviciniamo a posti più evoluti come Svizzera, Francia e Germania, altre volte al Sud. La persona non binaria magari va su Instagram e può avere la sensazione che la situazione sia molto cambiata, poi esce di casa e la picchiano. C’è ancora molta ignoranza. Però, almeno nelle grandi città c’è più libertà, sembra che faticosamente ci stiamo allineando a un mondo culturale emancipato».
Ha raccontato più volte di essersi dedicato alla paternità rivendicando un ruolo centrale nella cura di suo figlio. È più un invito agli altri uomini o un messaggio alle donne per dire “non siamo tutti uguali”?
«L’invito arriva da qualcosa che c’è nell’aria. Io sono così ma non mi sento speciale, quando è nato mio figlio si sono accese delle valvole in me che hanno funzionato perfettamente. Non sono un caso isolato, quando porto mio figlio a nuoto mi accorgo di non essere l’unico papà. Ho un affidamento condiviso e quando vado a scuola incontro molti altri padri. Mi sono separato presto, portavo mio figlio in vacanza, è stato sempre tutto molto naturale. Mi arrabbio con chi mi definisce un “mammo”, sono un papà di oggi. La prima volta che mio padre mi ha portato in giro avevo 4 anni, all’epoca non usava. Per fortuna le cose cambiano, ma non ho mai avuto la sensazione di fare un sacrificio».
Torniamo alla musica. Lei non potrebbe vivere senza la musica suonata, ma oggi lo scenario è molto diverso.
«Non sono i miei tempi, forse non lo erano nemmeno quando sono uscito. Oggi il pop è Mahmood, Ghali, quando ho esordito c’erano Ramazzotti, mio grande amico, Laura Pausini, ma anche allora avevo la sensazione di essere unosservatore, non mi sentivo vicino a nessuno di loro così come mi sento diverso dalle star di oggi. Ogni tanto ho delle vicinanze: Brittish l’ho registrata con Salmo perché lo stimo.
Non inseguo la carriera da cantante o da chitarrista, mi sento un artista. Mi faccio tanto i fatti miei, mi diverto, giro l’Italia, faccio grandi mangiate, compro tante chitarre, suono con gli amici, la gente viene ai miei live, continuo a produrre. Non mi chiedo quale sia la mia posizione nel mondo. Anche se...».
Se?
«Non possiamo ignorare che oggi, parlando di un disco, si nominano solo i numeri: la qualità sembra non interessare nessuno. È come se la musica fosse diventata un sottofondo. Lo vedi anche in tanti concerti: ci sono le canzoni e c’è tanto altro, i balletti, gli ospiti, i video. Non è che chi vende non sia bravo, solo che bisogna stare attenti perché la bellezza non è ovunque. È tutto veloce, complici anche i talent: in molti spariscono nel giro di poco, arrivano a trent’anni e dopo aver visto il successo devono chiedersi cosa fare da grandi e cadono in depressione. È preoccupante».
Ha alle spalle tante esperienze e collaborazioni, apriamo la pagina amarcord: il primo Sanremo.
«Indimenticabile. Era il 1997. Alle selezioni eravamo io e Max Gazzè. Ci cacciarono subito e tornammo a Roma parecchio sconsolati. Per fortuna poi è andata meglio per entrambi».
Mina.
«Mai incontrata, ci siamo parlati solo per telefono o mail. Peccato. Ho percepito una persona frizzante: una volta mi ha chiamato e ha finto di essere la segretaria di suo figlio Massimiliano. Mi ha preso in giro per mezzora».
Pino Daniele.
«Personaggio emblematico, difficile da capire. Un gigante della musica, talento incredibile ma persona chiusa, ombrosa. Non sono riuscito a conoscerlo nel profondo».
Maurizio Costanzo.
«Un amico vero. Nonostante la differenza di età ho condiviso con lui tante cose belle, racconti, risate, chiacchiere. Mi ha fatto fare una full immersion nel mondo dell’arte e del teatro. Un gigante, una mancanza enorme».
Edoardo Bennato.
«Un fratellone. Colpa sua se ho iniziato a suonare la chitarra. La mia generazione l’ha assorbito fino in fondo. Non è un caso se mio figlio si chiama Edoardo...».
Jimi Hendrix è da sempre il suo idolo. Se potesse incontrarlo, cosa gli direbbe?
«Che potrei chiedergli? Ha detto tutto con la sua musica. Piuttosto lo inviterei a mangiare una carbonara: la mia è una delle migliori di Roma».