il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2024
Il Sars-Cov-2 c’era prima di Wuhan
Il 5 maggio 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara ufficialmente la fine della pandemia.
Nel febbraio 2024, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, afferma: “Allo stato attuale, il mondo resta impreparato per la prossima ‘Malattia X’ e per la prossima pandemia. Se accadesse domani, ci troveremmo ad affrontare molti degli stessi problemi che abbiamo dovuto affrontare con il Covid-19”. Tedros avverte che “è possibile, o addirittura probabile, che dovremo affrontare un’altra pandemia nel corso della nostra vita”. E pure i modelli matematici, che tengono conto anche della grande accelerazione temporale operata dalla globalizzazione, ci avvisano che ogni dieci, massimo 15 anni avremo una nuova emergenza infettivologica. “Non possiamo sapere quanto lieve o grave potrebbe essere – spiega il dg dell’Oms – ma possiamo essere pronti”. Sì, ma come?
Facciamo un passo indietro. Nel dicembre 2021, a Ginevra, gli Stati si sono impegnati a sottoscrivere un accordo internazionale su preparazione e risposta alla pandemia. L’obiettivo è rafforzare le difese in diversi settori: la prevenzione con un approccio One Health (“un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse (…) Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente”, secondo la definizione dell’Istituto Superiore di Sanità); potenziare il personale; promuovere ricerca e sviluppo; migliorare l’accesso ai vaccini e altri prodotti; condividere informazioni, tecnologia e campioni biologici. Ma sulla definitiva approvazione pesano i ritardi nei negoziati e la scarsa fiducia (eufemismo) nell’Oms. Anche per questo, Tedros si è affrettato a precisare che “la nostra Organizzazione non ha imposto nulla a nessuno durante la pandemia di Covid-19. Né blocchi, né obblighi su mascherine o vaccini. Il nostro compito è supportare i governi con orientamenti, consigli e quando necessario forniture, basati sull’evidenza per aiutarli a proteggere la loro popolazione. L’accordo afferma la responsabilità nazionale nei suoi principi fondamentali. È esso stesso un esercizio di sovranità”.
È lecito chiedersi: era preparata l’Oms? Dal suo comportamento durante la pandemia, verrebbe di affermare di no. Eppure era stata creata una struttura ad hoc per prepararsi ad affrontare una pandemia influenzale: il Pandemic Influenza Preparedness Framework (o Pip Framework) che tra 2012 e il 2020 ha contato su un budget di circa 200 milioni di dollari (Oms, Pip partnership contributions 2012-2020, 31 marzo 2020). E nel 2018 veniva pubblicato Passi essenziali per lo sviluppo e l’aggiornamento di un Piano nazionale di preparazione a una pandemia influenzale, dove si avvertiva: “Il mondo deve aspettarsi un’epidemia di influenza killer, anzi deve essere sempre vigile e preparato in modo tale da poter combattere la pandemia che sicuramente si verificherà” (Oms, Essential steps for developing or updating a national pandemic influenza preparedness plan”, marzo 2018). Non sono, evidentemente, bastati. Com’è altrettanto chiaro perché le aspettative oggi non siano altissime.
Va riconosciuto il diritto di continuare a indagare. Non è sete di vendetta. Essenziale per il nostro futuro conoscere a fondo la pandemia. Vogliamo acquisire una conoscenza scientifica che renda più facile affrontarne una nuova. La scienza non può accettare approssimazioni e non lascia ricerche insolute. Va avanti fino alla radice. E nel fenomeno Covid, troppe cose restano senza spiegazione o, peggio, sono palesemente errate e nessuno lo evidenzia. Ecco un esempio. Il lavoro pubblicato il 26 luglio 2022, sull’autorevole rivista Science, dal titolo The Huanan Seafood Wholesale Market in Wuhan was the early epicenter of the Covid-19 pandemic (“Il mercato all’ingrosso di pesce di Huanan a Wuhan è stato il primo epicentro della pandemia di Covid-19”) riporta i dati ottenuti da una serie di fonti, per testare l’ipotesi che la pandemia di Covid-19 sia iniziata nel mercato di Huanan. “Nonostante i test limitati sulla fauna selvatica venduta al mercato – scrive – collettivamente i nostri risultati forniscono la prova che il mercato di Huanan è stato il primo epicentro della pandemia di Covid-19 e suggeriscono che la SARS-CoV-2 è probabilmente emersa dal commercio di fauna selvatica in Cina”. Nessuno ha sollevato dubbi. Anzi, è stato enfatizzato che finalmente la questione sull’origine del virus era stata risolta. Invece, ecco alcuni dati che smentiscono indiscutibilmente tali affermazioni. Immagini dei satelliti, puntati sulla Cina, hanno evidenziato un insolito accesso ai punti di emergenza sanitaria sin dal giugno del 2019. Se non bastasse, sono stati pubblicati almeno due lavori che hanno attestato l’isolamento del virus, fuori dalla Cina, nei mesi precedenti al dicembre 2019. Un lavoro condotto dal mio gruppo di ricerca con l’Istituto Superiore di Sanità ha dimostrato che nelle acque reflue di Milano e Torino, già a novembre 2019 era rilevabile SARS-CoV-2 (CS N ° 39/2020 – IS Study on wastewater, in Milan and Turin Sars-Cov-2 already present in December). E nel lavoro del 220 pubblicato sul BMJ (British Medical Journal), dal titolo SARS-CoV-2 has been circulating in Northern Italy since December 2019: evidence from environmental monitoring (“SARS-CoV-2 circola nel Nord Italia da dicembre 2019: evidenze dal monitoraggio ambientale”) viene riferito che il primo caso positivo in Italia risale al 18 dicembre 2019. Ancora dal sito della rivista Lancet si legge: “Il primo caso di infezione da coronavirus 2019 risale al 1º dicembre e la persona infettata non era stata al mercato ittico di Wuhan”. Stiamo parlando di una pandemia che ha arrecato milioni di morti. L’origine è l’elemento fondamentale per prevenire una nuova tragedia, a breve termine. Il già citato lavoro su Science, dopo pagine di dimostrazione dell’ormai certa origine dal mercato di Huanan, conclude: “Tuttavia gli eventi a monte del mercato, così come le circostanze esatte del mercato, rimangono oscuri, evidenziando la necessità di ulteriori studi per comprendere e ridurre il rischio di future pandemie”. Crediamo che sia la parte più interessante del lavoro che ci aspetta. E invita a non mollare.
Vorrei anche soffermarmi su un altro aspetto. La vastità del fenomeno pandemico ha suscitato la pubblicazione di milioni di post. Potremmo discutere all’infinito su quante di queste news fossero nocive alla salute pubblica. Invece, dubbi, perplessità, discussioni anche scientifiche sono stati silenziati, se non messi al bando. È noto che molti hanno visto oscurarsi il proprio account Facebook per aver espresso pareri, o timori, non in linea con quanto affermato dal “pensiero unico”. La prospettiva che inquieta è che tali giudizi non siano stati espressi da un board scientifico autonomo, ma da algoritmi gestiti da agenzie. Una fra queste, la più importante, è la NewsGuard di Gordon Crovitz e Steven Brill, fondata nel 2018 con la missione di valutare l’affidabilità di oltre 7.000 siti web di notizie e informazioni e dare a ogni sito una “etichetta” basata su trasparenza e integrità. I due Ceo sono contemporaneamente coinvolti con importanti ruoli in testate giornalistiche, consulenti di società di media e tecnologia. Crovitz è un ex editore del Wall Street Journal, per il quale scrive una rubrica settimanale intitolata Information Age. È stato anche vicepresidente esecutivo del Dow Jones e ha lanciato il Consumer Media Group. Basta una semplice ricerca online per farsi un’idea, non solo della sua notevole esperienza, ma anche dei suoi interessi che non ci appaiono lontani da quelli dei gestori dei social. Ci chiediamo se sia corretto affidare in gestione la “verità” che ci è concessa conoscere e, persino, i dubbi della scienza che si ha il diritto di esprimere.