il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2024
“La gente non mi ha capito” “Vuole la magia, non l’arte”
Anticipiamo stralci delle “Memorie” di Georges Méliès (1861-1938), tra i pionieri del cinema, edite per la prima volta da Cue Press.
Ora bisogna concludere questa indagine generale sui contributi di Georges Méliès all’arte cinematografica. Contrariamente a un’opinione molto diffusa, Méliès non ha prodotto soltanto opere fiabesche o fantastiche, perché ha affrontato un po’ tutti i generi. Ma la sua indiscussa maestria, le sue capacità d’immaginazione, le continue invenzioni che ha apportato nei film di sua composizione, hanno fatto sì che fosse la clientela stessa a obbligarlo a produrre una gran quantità di queste opere speciali; la loro originalità ha finito per assegnargli una reputazione di “impenitente degli effetti speciali”. La verità è che le sue doti artistiche gli permettevano di affrontare tutti i generi. Basta scorrere il suo catalogo per vedere che i film “a effetti speciali” rappresentano, più o meno, solo un terzo della sua enorme produzione.
Sfortunatamente, Méliès arrivò al cinema troppo presto: che cosa non avrebbe realizzato con le risorse di cui dispongono i cineasti di oggi e che ai suoi tempi non esistevano, né per gli apparecchi, né per le luci? È soprattutto agli elettricisti, e anche ai fabbricanti, che sono dovuti i progressi moderni; a parte questo, la stessa composizione delle sceneggiature praticamente non ha fatto passi avanti. Sappiamo che per molto tempo il pubblico colto esitò ad avventurarsi nelle sale cinematografiche; sappiamo anche che Méliès era disegnatore, pittore, in una parola artista, e che di conseguenza non poteva accontentarsi dei mediocri filmetti dell’inizio. Però, bisogna anche riconoscere che se Méliès ha tentato, fin dagli esordi, di lanciare il cinema su una strada artistica, e se in quel momento non fu capito, la colpa ricade molto più sul pubblico che su di lui. Gli ci è voluto un bel po’ di tempo prima di poter imporre soggetti che esigevano una certa cultura da parte degli spettatori per essere apprezzati nel loro giusto valore. Che fare di fronte a gente che all’uscita di una grande farsa gridavano: “È idiota questo film!”, unicamente perché era al di sopra della loro comprensione? Ed è questa la ragione per cui, abbandonando i soggetti storici, mitologici o educativi che aveva cercato di far diventare di moda, si era lanciato nel genere fantastico e umoristico. Questo nuovo genere gli permise tutte le composizioni d’immaginazione, gli episodi più comici, e al tempo stesso la realizzazione di cose ritenute impossibili. Fu dunque là che trovò la materia prima che gli consentiva di soddisfare i meno raffinati, ma anche d’incuriosire gli studiosi e di piacere agli artisti. In effetti, questo genere di composizioni gli permetteva di lanciarsi nel campo della fantasia e del sogno, e di realizzare dei quadri armoniosi artistici, fiabeschi o fantastici. Inoltre, c’era un vantaggio enorme in quel genere di produzioni, perché veniva capito immediatamente dai popoli più diversi, senza che ci fosse bisogno della minima spiegazione.
Quello che ha costituito la forza di Méliès, è che non si lasciò mai scoraggiare da nessuna difficoltà. Quando aveva deciso di creare questo o quell’effetto, niente lo poteva fermare, e ci riusciva sempre. È stato, insomma, un grande inventore dotato di una carica enorme di energia e di perseveranza. Ed è stato anche un precursore, e nei generi più diversi, come se avesse previsto tutto quello che il cinematografo sarebbe stato capace di realizzare più tardi. Si può anche dire che aveva capito che il cinema sarebbe stato chiamato a poter svolgere un ruolo nell’educazione o nell’istruzione. Certo, quando iniziò non era ancora il caso di parlare di “cinematografia educativa”, ma ciò nonostante aveva cercato di fare dei film destinati ai bambini, e anche ai grandi, quello che allora si chiamava “lezione delle cose”. È così che fin dal primo anno nel suo catalogo si trova una lavanderia, un’officina di fabbri, una fabbrica di profumi, la lavorazione di vasellame al tornio, una filanda, lo scarico di una nave sul molo di Le Havre, il porto di Marsiglia, i lavori di una fattoria, le esercitazioni per spegnere un incendio, ecc. E poi dei documentari, in un’epoca in cui le autorità non consentivano di fotografare sul suolo pubblico, e in cui ancora non si pensava a inviare lontano dei reporter, che del resto sarebbero incappati negli stessi divieti, come successe al primo operatore di Lumière in America.
Méliès non si arrendeva facilmente davanti agli ostacoli, tanto è vero che i fatti più importanti di allora egli li ricostruiva nello studio. È così che girò L’eruzione del monte Pelé alla Martinica, Il naufragio della corazzata “Maine” nel porto dell’Avana, e più tardi il famoso Affaire Dreyfus alla cui rappresentazione il pubblico venne alle mani, fino a L’incoronazione di Edoardo VII nella cattedrale di Westminster (ricostruita nel suo giardino di Montreuil). Gli incendiari, dramma complesso e importante, aveva perfino ricostruito l’esecuzione di un condannato a morte. Era tutto così naturale e realizzato con una tale maestria, che il pubblico dell’epoca credette di vedere veramente gli avvenimenti ripresi dal vivo. Però i documentari non interessavano molto al pubblico di allora, che preferiva le scene divertenti, e d’altra parte alcuni film avevano causato a Méliès diverse noie. Per esempio, durante le proiezioni di L’Affaire Dreyfus, i partigiani e i nemici di quest’ultimo, sovreccitati, si batterono nella sala, cosa che richiese l’intervento della polizia e fece proibire il film (almeno in Francia).