La Stampa, 29 maggio 2024
Pnrr, i tagli sui comuni
In proporzione ai tagli il Comune più penalizzato è quello di Genova, in valore assoluto sarà invece Roma a rimetterci di più. Per effetti dei sacrifici imposti dalla spending review che sta per partire, infatti, la città della Lanterna dovrà rinunciare a 4,8 milioni di euro all’anno, 24 in tutto nei cinque anni del piano che terminerà nel 2028; la Capitale, invece, ne perderà in tutto ben 81. È il risultato del meccanismo previsto dal ministero dell’Economia che con l’ultima legge di bilancio punta a ridurre i trasferimenti a Comuni, Città metropolitane e Province per un totale di 1,25 miliardi di euro in 5 anni caricando il 50% dei tagli sulla spesa corrente e legando poi l’altro 50% ai trasferimenti ottenuti col Pnrr. Una scelta subito contestata da Comuni e Province in quanto «illogica» e «punitiva».
«Non ha senso mescolare spesa corrente con la spesa per gli investimenti – sostengono i sindaci di ogni colore politico – altrimenti si rischia di realizzare nuovi asili e nuove case di comunità senza poi avere le risorse per farle funzionare». «Ho calcolato che ogni nuovo asilo ci costerà 300 mila euro all’anno di spese» segnala Alessandro Canelli, sindaco di Novara e presidente dell’Ifel, l’Istituto per la finanza e l’economia locale che fa capo all’Associazione nazionale dei comuni.
Chi perde di più
Alle spalle di Genova, in questa classifica dove nessuna città vorrebbe apparire, sono molte altre le amministrazioni che stando alle prime simulazioni fatte dall’Ifel risulterebbero tra le più penalizzate: Firenze perderebbe infatti 3,8 milioni di euro all’anno (e ben 19 in 5 anni), Bari 2,6, Padova 2,1, Taranto 1,8, Cagliari 1,25 e Bergamo un milione all’anno per 5 anni. Alle spalle di Roma in termini assoluti si piazza Milano con 56 milioni di euro di tagli, ma piange anche Bologna con -22. Si salvano da tutto questo, ma solo perché hanno già abbastanza guai, le città in pre-dissesto o che in questi anni hanno concordato col governo piani di rientro, come Napoli, Torino, Reggio Calabria e Palermo.
«Come Anci – spiega Canelli – abbiamo suddiviso i Comuni in tre distinte classi demografiche ed il primo dato che risalta è che sotto i 5 mila abitanti praticamente tutti i Comuni vengono colpiti duramene: si tratta di poche migliaia di euro ma per loro sono tagli comunque pesantissimi». Ad essere interessati sono praticamente tutti i piccoli Comuni del Piemonte ed una larga fetta di quelli di Abruzzo e Lazio.
Nella fascia tra 5 mila e 60 abitanti i tagli in media sono compresi nella forchetta che va tra 40 e 300 mila euro all’anno. In questo caso la scure cade soprattutto sui municipi del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia, con Sondrio che perde 160 mila euro all’anno e Cuneo 360 mila.
Sono tagli che si aggiungono ai tagli precedenti ed ai mancati trasferimenti e che in assenza di modifiche renderanno difficile la vita a molti sindaci che per far quadrare i loro bilanci si troveranno di fronte ad un bivio, ovvero tagliare i servizi, non aprire gli asili, risparmiare sulle utenze e rinunciare a sistemare le strade, oppure aumentare tasse e imposte locali.
Servizi a rischio
«La spending review per i Comuni è una misura sbagliata che si aggiunge alla mancata compensazione dell’aumento del 10% di tutti i costi diretti e indiretti e rischia di scaricarsi sui servizi e sui cittadini più deboli» segnalava lunedì il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, ricordando che non solo Roma «attende ancora i 130 milioni, che secondo le stime del Mef sono dovuti per portare a compimento il federalismo fiscale varato quasi 10 anni fa, ma sommando il taglio di 81 milioni alla mancata compensazione degli effetti dell’inflazione, pari ad almeno 60 milioni, la capitale rischia di subire una contrazione della capacità di spesa pari a 140 milioni. È un errore, il governo ci ripensi».
Come rimediare
Per Canelli «non si mette tanto in discussione l’ammontare dell’intervento previsto dall’ultima legge di bilancio quanto i criteri che intende adottare il governo. Penalizzare la spesa corrente perché si sono ricevuti più fondi in conto capitale è sbagliato» protesta. Per questa ragione l’Anci ha elaborato una sua proposta alternativa a quella del Mef, «più equilibrata e più sostenibile» per i bilanci degli enti locali.
In pratica se i 200 milioni di risparmi anni previsti dalla spending review dei Comuni venissero caricati tutti sulla spesa corrente si avrebbe in media un taglio dello 0,49% uguale per tutti. L’attuale ipotesi, con l’introduzione della «variabile Pnrr», prevede invece una forchetta che va da un taglio dello 0,28% per gli enti che col Pnrr hanno preso pochi fondi e lo 0,99% per chi ha preso tanto (come Bologna o Taranto). La proposta dell’Anci prevede che i tagli abbiano un impatto compreso tra lo 0,40 e lo 0,63 della spesa corrente. «Sarebbe un intervento più equo e meno impattante» spiega Canelli. Eggià. Ma chissà se Giorgetti sarà della stessa idea. —