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 2024  maggio 29 Mercoledì calendario

Giovanni Bazoli: "Quel giorno ho perso mia cognata I ritardi un’ombra sulla democrazia"

«Cinquant’anni sono un tempo che mette a disagio. Cinquant’anni, per giungere ad accertare le responsabilità, fanno pensare a tutti i poteri occulti che hanno ostacolato le indagini. E questo ritardo nel giungere alla verità giudiziaria getta un’ombra sulla nostra democrazia». Il professor Giovanni Bazoli, banchiere, presidente emerito di Intesa Sanpaolo ed ex docente di Diritto pubblico, è fra i primi ad arrivare al Teatro Grande. In base al cerimoniale del Quirinale manca poco meno di un’ora al discorso del presidente Sergio Mattarella per il cinquantesimo anniversario della strage di piazza della Loggia. Bazoli sale lo scalone che porta al foyer un passo alla volta, da solo, anche se poco lontano da lui ci sono la moglie Elena e la figlia Francesca. Ha 91 anni, ma la sua lentezza non ha a che fare con l’età, e nemmeno con il largo anticipo con cui si è presentato. «Per me, e per chi come me ha vissuto il 28 maggio del 1974, una giornata come quella di oggi significa rivivere quel dolore e quello sgomento. Mi appaiono davanti agli occhi immagini, emozioni e momenti come fossero avvenuti ieri» spiega, parlando dell’ostinazione della memoria e accettando di condividere alcune riflessioni.
Per Bazoli, infatti, la strage di piazza della Loggia è una ferita allo stesso tempo intima e pubblica, personale e politica. Fra le vittime dell’ordigno neofascista esploso alle 10.12 di quel mattino di cinquant’anni fa, durante la manifestazione convocata dai sindacati proprio per denunciare quella che poi avremmo tutti imparato a chiamare la “strategia della tensione”, c’era Giulietta Banzi, moglie di suo fratello Luigi. «Mia cognata aveva 34 anni – ricorda -. Ero a Milano all’università e quando mi avvertirono di quello che era successo rientrai a Brescia immediatamente. Giulietta aveva tre figli. Alfredo, il più piccolo, che oggi è un parlamentare, all’epoca aveva solo quattro anni. Ricordo benissimo quella giornata, e anche quelle successive».
A Bazoli, però, interessa soprattutto parlare del presente. E tratteggiare il significato che la visita del presidente della Repubblica ha, cinquant’anni dopo la strage, per Brescia, la sua città, e in qualche modo per tutta l’Italia. Si sofferma su tre aspetti. Due sono positivi, uno invece è «critico, negativo». È inevitabile partire da questo perché «il ritardo nel raggiungere la verità giudiziaria lascia sgomenti» ammette il professore, mettendo il dito nella piaga del tempo occorso alla giustizia per accertare le responsabilità. «Conosciamo le motivazioni e i mandanti, e oggi c’è un’appendice giudiziaria che riguarda anche quello che sarebbe stato l’esecutore materiale, cioè colui che avrebbe messo la bomba nel cestino – spiega Bazoli -. Però se per piazza della Loggia la giustizia è riuscita ad accertare ciò che è accaduto, resta il disagio per il tempo che ci è voluto. Per tutte le interferenze che hanno ostacolato le indagini e il lavoro dei magistrati».
Il primo elemento positivo, invece, riguarda la capacità di non dimenticare. «A distanza di cinquant’anni la memoria di quell’avvenimento è molto viva anche in coloro che non l’hanno vissuto – riconosce il professore -. Ho notato una certa “intensità del ricordo”. E ricordare vuol dire deplorare ciò che è avvenuto e impegnarsi per difendere i valori della democrazia repubblicana. Ho visto una reazione molto positiva di Brescia a questa visita». Il secondo aspetto positivo, aggiunge poi Bazoli, «ha il nome di Sergio Mattarella, a cui va la mia gratitudine». Anche qui il professore tocca un tasto sensibilissimo: la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. «Io che ho vissuto quei giorni degli anni Settanta non posso fare a meno di ripensare ai segnali di rivolta che si alzavano nei confronti dello Stato, quello Stato che non aveva saputo impedire la strage – dice –. Brescia era ferita da questa mancanza di tutela. Anche perché, non dimentichiamolo, quella di piazza della Loggia non è stata la prima e non sarebbe stata purtroppo l’ultima bomba a scoppiare». Ricorda le «centinaia di migliaia di giovani dei movimenti di protesta, che arrivarono in città da tutta Italia nei giorni immediatamente successivi alla strage». Ricorda i funerali, «quando il presidente della Repubblica Giovanni Leone e il presidente del Consiglio Mariano Rumor vennero fischiati dalla folla», e se ne dovettero andare quasi in fuga. «Oggi Brescia si è riconciliata con lo Stato grazie alla presenza di Mattarella – conclude -. Grazie alla sua enorme popolarità e all’unanime sentimento che riesce a suscitare, qui e ovunque, aiuta la cittadinanza a credere nei valori della democrazia repubblicana». —
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