il Giornale, 29 maggio 2024
La pandemia e l’Oms
In queste ore, a Ginevra, sono in corso negoziati da cui si pensava sarebbe uscito un inedito sistema di regole riguardanti la sanità in ogni angolo della terra. Su spinta del direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus (un rivoluzionario marxista-leninista d’Etiopia, abilmente reinventatosi quale super-burocrate globale), l’Organizzazione mondiale della sanità aveva in programma di concludere due accordi: uno volto ad aggiornare le attuali norme e uno più ambizioso che doveva realizzare un inedito trattato incaricato di fronteggiare ipotetiche future pandemie.
Gli Stati membri, però, non hanno trovato un’intesa sul trattato. Regno Unito, Italia e Russia (ma anche un gran numero di governatori statunitensi) hanno espresso il loro dissenso, nella convinzione come s’è visto durante il biennio del Covid-19 che già ora l’Oms disponga di un enorme potere, in grado di permettere a un piccolissimo gruppo di politici e uomini d’affari di compiere scelte cruciali, spesso evitando ogni serio confronto scientifico e aggirando qualsiasi procedura parlamentare.
Che la montagna avrebbe partorito un topolino è apparso chiaro la sera di venerdì scorso, quando gli Stati membri dell’Intergovernmental Negotiating Board hanno preso atto della situazione e hanno smesso di negoziare. Anche dopo tutto questo l’astuto Tedros ha continuato a dirsi ottimista e a minimizzare il risultato, sostenendo che non si possa parlare di fallimento. Ha poi ricordato le devastazione del biennio pandemico, usando il dramma di quei mesi pro domo sua, cercando di ricostruire una concordia internazionale che, però, non esiste.
Se una parte dell’opinione pubblica globale, e in particolare quella che è più distante dal conformismo progressista, è ostile ai progetto dell’Oms le ragioni sono chiare. Le prime perplessità, com’è ovvio, sono di carattere istituzionale. In effetti ci troviamo di fronte a processi decisionali che vedono protagonisti soggetti che assumono risoluzioni senza alcun coinvolgimento delle popolazioni interessate e che pretendono di attribuire immensi poteri a inquietanti superburocrati à la Tedros. Quanti sanno, ad esempio, di cosa si sta discutendo in queste ore a Ginevra e chi sta rappresentando l’Italia? Coloro che dovrebbe tutelare i nostri diritti, per giunta, che incarico hanno avuto e da chi? Quali sono gli obiettivi che vogliono realizzare? Di questo il cittadino comune non sa nulla, anche se le questioni in gioco sono di assoluto rilievo.
Per giunta, l’Oms è una realtà che poggia sull’adesione di 194 Stati membri e che come altre realtà politiche analoghe ha sempre generato non soltanto innumerevoli rendite parassitarie, ma anche rapporti poco limpidi tra la sfera pubblica e quella privata. Com’è risaputo, d’altra parte, la fondazione creata da Bill Gates è il secondo soggetto finanziatore dell’Oms (dopo gli Stati Uniti) e tutto ciò suscita più che legittime apprensioni in quanti temono che specifici interessi e/o particolari visioni ideologiche possano guidare le scelte di chi governa l’universo sanitario nei cinque continenti.
La pandemia è stata una formidabile opportunità per l’Oms, che ha potuto dilatare le proprie competenze e imporre linee guida che i governi hanno spesso subito in maniera passiva. Al tempo stesso, a più livelli abbiamo visto assai bene quanti questa organizzazione non soltanto fosse inadeguata, ma soprattutto fatalmente catturabile da una serie di interessi. Un paio di anni fa nel dibattito italiano suscitò molto rumore quanto venne rivelato dal ricercatore veneziano Mauro Zambon, che quando dall’interno dell’organizzazione stessa portò alla luce l’assenza di un piano pandemico italiano aggiornato fu suo malgrado stritolato da un duro conflitto di potere. Se alla fine Zambon risultò essere un pesce piccolo (dal titolo del volume che ha dedicato alla vicenda) e anche per questo diede le dimissioni, ciò si deve al fatto che l’Oms ha naturalmente anteposto una reinvenzione della Ragion di Stato per proteggere qualche alto papavero a ogni forma di trasparenza e ai diritti della cittadinanza.
L’Oms nasce dal potere degli Stati e anche se essa punta a sottrarre loro alcune funzioni, è in mano a uomini d’apparato che sono fatti della stessa pasta dei politici nazionali. Per giunta, invece che servire quale luogo di coordinamento per scelte sanitarie diverse e in competizione, l’Oms punta a pianificare dell’alto l’intera medicina mondiale, riuscendo talora a sollevare da ogni responsabilità i responsabili di questa o quelle scelta. Quando nelle scorse settimane il tribunale dei ministri ha archiviato la denuncia contro il ministro Roberto Speranza, nelle 30 pagine della motivazione non ha negato gli effetti avversi, ma ha sostenuto che l’esponente della sinistra avrebbe semplicemente obbedito a direttive provenienti dall’alto. Mentre negli scorsi anni l’Oms e le altri grandi agenzie di area Onu hanno sempre ampliato senza troppi ostacoli il loro ruolo, questa volta non tutto sembra andare secondo i piani delle ristrette élite globali. Ma perché stavolta c’è stata tanta resistenza?
In questi mesi uno dei contrasti maggiori ha riguardato l’articolo 12 del trattato in discussione, che durante le emergenze prevedeva di riservare all’Oms circa il 20% di test, trattamenti e vaccini da distribuire ai Paesi più poveri. Non soltanto si voleva costruire una sorta di socialismo globale, ovviamente giustificato da argomenti umanitari, ma l’Oms avrebbe pure rafforzato il proprio carattere paternalistico e moralizzante, che già manifestò con la convenzione sul tabacco del 2003, che ha penalizzato i fumatori attraverso la tassazione e le regole su etichettatura e pubblicità. Soprattutto, quello che si voleva predisporre era un nuovo sistema di allerta per comunicare le diverse valutazioni del rischio, assegnando all’Oms un ruolo ancor più decisivo nella gestione delle pandemie future: nella fondata convinzione che la sanità possa giocare un ruolo da apripista verso prospettive di Stato globale.
Ora sembra proprio che il trattato sia stato messo da parte, dato che per l’approvazione era necessario il sostegno di due terzi dei Paesi membri. Non si deve pensare, però, che gli sforzi volti a rafforzare i poteri globali s’arresteranno qui. Al contrario, poiché sembra più facile far passare il nuovo Regolamento sanitario internazionale, qualcuno teme che lì verranno inserite alcune disposizioni che prima si volevano introdurre nel trattato.
Non resta che augurarsi che vi sia chi sappia opporsi a tale deriva e che abbia il coraggio di tirare diritto.