Corriere della Sera, 28 maggio 2024
Intervista a Luca Barbareschi
Ogni tanto sparisce.
«Vado via per due giorni. Odio il mondo, l’universo e anche me. Che ne sanno gli altri delle mie vertigini, dell’urlo che ho dentro».
Cerca di farsi lasciare.
«Non me ne rendo conto, è come se volessi dimostrare che non merito la serenità».
Luca Barbareschi, 67 anni, attore, regista, produttore, ex onorevole, protagonista di The Penitent, presentato a Venezia, tratto da una sceneggiatura di David Mamet – i dilemmi morali di uno psichiatra ebreo che assiste alla distruzione della propria carriera e della vita privata – che ha pure diretto e prodotto: «Un capolavoro, potevo farlo solo io, è la mia storia, ci ho messo tutto me stesso».
E lei si pente di qualcosa?
«Non mi pento mai di nulla, sono responsabile delle mie azioni. Certo ho commesso tanti errori, come aver fatto soffrire le mie tre figlie ancora piccole, con la separazione dalla madre. Resta il rimorso, però non tornerei mai indietro. La vita ti mette davanti a scelte obbligatorie, alcune più difficili, che ti dilaniano, spesso è complessa e priva di logica. Per Lucrezia ho abbandonato la famiglia. Quando poi lei mi ha lasciato credevo di morire dal dolore. Invece con mia moglie Elena sono rinato, mi sono innamorato di nuovo e ho avuto altri due bambini».
Va così.
«Ho letto tanto, ossessivamente, però a volte penso che non mi sia servito a nulla, mi sento un idiota totale».
Ma no.
«Invidio quei colleghi pieni di sicumera, io sono un insicuro, ogni mese devo rileggermi il curriculum perché c’è una vocina dentro di me che mi ripete: “Non hai combinato proprio niente”».
Non ha altri rimorsi.
«Tutto ciò che ho fatto è stato con adulti consenzienti, culturalmente, sessualmente, professionalmente. Ci sono stati trionfi e disastri. Ormai mi fido soltanto della mia veggente di Torino».
Ah sì?
«Mamma era amica di Gustavo Rol, mi ci portava sempre, quelle poche volte che l’ho vista. Diceva che facevo muovere il tavolino, che avevo capacità medianiche. Ma io volevo le coccole, non fare il mago Zurlì. Mi rispondeva: “Leggi Incompreso, invece di frignare”».
La abbandonò a 6 anni: «Scusa, mi sono stufata».
«Si era innamorata di un altro e prese con sé mia sorella. Spiritosa però, mi regalò Cent’anni di solitudine. Da allora in ogni libro cerco di capire cosa le sia passato per la testa per mollarmi così, io non potrei mai, i miei figli piccoli li bacio e li ribacio, non sopporterei l’idea di non rivederli».
Un trauma.
«Un dolore spaventoso. Papà era ingegnere per la Edison, sempre lontano, di base a Beirut, quando tornava mi raccontava balle tremende, che aveva combattuto a mani nude con i coccodrilli. Sarà perché beveva whisky e cibalgina, aveva dolori terribili. Vivevo insieme a una tata, una zia gobba e una con l’anca sbilenca, zitelle, con cui ho riso tantissimo, era una famiglia di matti. Quando ci trasferimmo a Milano, in via Rossetti, avevo una governante sarda, Gina, che mi chiamava “cocco” e mi portava al cinema, io mi sedevo davanti e lei dietro, a pomiciare con il fidanzato».
Si è sentito solo.
«La solitudine la vivo ogni giorno, è inevitabile, sono sempre infelice e disperato».
Non cresceva.
«A 14 anni ero un tappo, 1 metro e 45, i compagni di classe erano già alti e con la barba, io con la vocina e senza un pelo. Di colpo mi venne un piede 46, sembravo Scarpantibus. Poi in pochi mesi arrivai a 1 metro e 87, con un nasone che non finiva più. A 16 ero una belva, facevo pugilato, pieno di rabbia, finivo sempre in qualche rissa».
A 18 ebbe una lite furibonda con suo padre. Se ne andò di casa gridandogli: «Spero che tu muoia».
«E lui mi rispose: “Anch’io spero che tu muoia”. Non ci siamo parlati per cinque anni. Me ne andai in America e giurai che sarei diventato più ricco di lui. Quando firmai il primo contratto con Berlusconi, da 2 miliardi di lire, lui alzò le spalle: “Bene. E poi?”. Aveva ragione. I soldi non sono mai stati un metro di paragone. Era un grande papà».
Disse: «Sono fragile e sensibile».
«Lo sono infatti, come Cyrano. Con i miei figli, con le donne che amo. Chiedo scusa quando ho sbagliato».
Invece ha fama di avere un gran brutto carattere.
«Ho un ottimo carattere».
Arrogante?
«Lo ero, ora meno, ma è dura, il mondo è pieno di imbecilli, ho imparato a stare zitto. Beh, quasi».
«La fedeltà non esiste».
«Da single sono andato a letto con più mogli io... ma non era colpa mia. Dopo sospiravano: “Mi hai sedotto”. Mica tanto. E volevano pure un figlio da me. Ho detto no. Con Lucrezia fedele lo sono stato. E lo sono con Elena».
Eh. La scoprì che chattava con duecento donne.
«Ero solo da tre anni, mandavo messaggi ossessivi a tutte, una forma di imbecillità mentale».
Il primo bacio.
«A 13 anni e mezzo con Susan, bella inglesina. Sotto le stelle, mentre il mangiadischi suonava It’s five o’ clock di Demis Roussos. Ero in vacanza da solo a Bonassola, Liguria, una stanza sopra la drogheria. La amavo ed ero così felice che piangevo e lei si irritava. L’indomani mi lasciò».
Cuore infranto.
«Mi promise: “L’anno prossimo faremo l’amore”. Contai i giorni. Finalmente arrivò il momento. Mi presentai nel suo letto con indosso il pigiama Calida. Susan mi gelò: “Guarda che l’ho già fatto con il capo del movimento studentesco”. Mi bloccai, non riuscimmo a fare niente. Ed è andata sempre così, con lei».
Anche un seduttore prende qualche «palo»?
«Un sacco. Un paio di volte ci sono rimasto male».
Ha più sofferto o l’inverso?
«Forse ho fatto più soffrire. Quando era finita era finita, basta, mai tornato indietro».
Il modo peggiore con cui ha lasciato una donna.
«Stavo con un’attrice americana famosissima, bella come il sole. Mi ero rotto le scatole. Avevo una Jaguar cabrio. “Tesoro, ti spiace controllare se mi funzionano gli stop?”. Lei scese. “Sì, caro, si accendono”. Le lanciai la borsetta e ripartii lasciandola lì».
Al secondo posto?
«Milano, sei del mattino. Carico una modella. Volevo portarla a fare l’amore a Firenze. Non stava mai zitta, una lagna. Dopo aver girato mezza Italia l’ho riaccompagnata a casa senza farci niente».
Lucrezia Lante della Rovere vendicò tutte loro: fu lei a piantarla, dopo 7 anni.
«Mi disse: “La mia soglia del dolore è più bassa della tua, ciao”. Stare con me era come salire sull’ottovolante. E sul lavoro ero inflessibile: prima dello spettacolo le facevo ripetere la parte con una matita in bocca per la dizione».
Un incubo.
«Ma è stato un grande amore, ci desideravamo pazzamente. Quando se n’è andata mi è crollato tutto addosso. Per lei avevo lasciato mia moglie incinta della terza figlia. “Ho fatto tanto casino per ritrovarmi ancora da solo”».
Siete rimasti amici.
«Per me adesso Lucrezia è come una figlia, la difendo, la proteggo, ha sofferto tanto, nessuno lo sa. Lei è leale con me e io con lei».
Come padre va meglio?
«Sono un burbero benefico. Buono, generoso e disponibile, però dico tanti no».
Li ha diseredati tutti e sei.
«Pensa che cu.., così devono lavorare».
Hanno apprezzato?
«Non è un mio problema. Lo faccio per il loro bene. Se volevo essere popolare andavo al Grande Fratello».
Amici ne ha?
«Per anni ho avuto un’amicizia segreta con Giorgio Napolitano».
Ma lei non è di destra?
«Socialista a vita».
Ora quanti amici restano?
«Tre. Sono già tanti. Daniele, Massimo e Attila. So che verranno al mio funerale».
Come se lo immagina?
«Spero che mangino bene e mettano buona musica».