il Giornale, 28 maggio 2024
Intervista a Giuseppe Culicchia
«Tutto inizia molto tempo prima di incontrare la storia di Giovanni Battista Pergolesi e di Giulia Spinelli e del loro amore impossibile, che mi ha colpito così tanto» dice Giuseppe Culicchia. E, in effetti, nel suo nuovo romanzo, Il libro dell’amore impossibile (appena edito da HarperCollins, pagg. 176, euro 17,50; lo presenterà lunedì 3 giugno a Milano, al Colibrì caffè Letterario, ore 19) lo scrittore per metà torinese e per metà siciliano parla di vari innamoramenti e innamorati destinati a patire difficoltà insormontabili. Lui e Dio, Gesù e il Padre, Giulia Spinelli e Gesù... Il tutto si intreccia con le passioni letterarie e musicali di Culicchia, il suo rapporto con la fede e l’incontro con un napoletano d’eccezione.
Giuseppe Culicchia, quanti amori impossibili ci sono nel suo libro?
«Da ragazzo guardavo moltissimi film sulle tv private e rimasi colpito da Elvira Madigan: la storia vera, bella e tragica, fra una circense danese e un ufficiale dell’esercito svedese, già sposato e disertore. In seguito a un patto, lui la uccide e poi si toglie la vita. La colonna sonora del film è mozartiana».
Come entra Mozart nell’intreccio?
«Il mio primo approccio è stato proprio con quel film. Poi ho visto Amadeus di Milos Forman: a un certo punto, il rivale Salieri non si capacita di come Dio abbia fatto il dono di una musica così divina a un uomo così volgare e blasfemo. Sempre nel film ho sentito un brano che mi ha emozionato moltissimo, diretto da Sir Neville Mariner e cantato dal coro di voci bianche dell’abbazia di Westminster, e che credevo fosse di Mozart».
E poi?
«Anni dopo, a Parigi, dove amavo recarmi spesso perché volevo viaggiare sulle orme di Hemingway e Fitzgerald e frequentare i loro stessi bar, avevo visto in cartellone il Requiem di Mozart, suonato nell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, ma non ero mai riuscito a sentirlo dal vivo. Finché ce l’ho fatta e mi sono commosso moltissimo, anche perché era morto da poco mio padre, e mi è venuta in mente la frase di Gesù sulla Croce: Padre mio, perché mi hai abbandonato?. Così il giorno dopo sono andato alla Fnac e ho comprato due cd: uno del Requiem di Mozart e uno con quel brano del film Amadeus, che ho scoperto essere lo Stabat Mater di Pergolesi. E a quel punto mi sono detto che, se quella di Mozart è la musica di Dio, quella di Pergolesi è la musica di Gesù».
Perché questa distinzione?
«Perché è così commovente e tocca corde profonde: è la musica di una persona che ha sofferto molto. Quindi è la musica di Gesù, che sulla Croce ha provato il dolore, la compassione e i sentimenti umani. Poi, altri anni sono trascorsi e ho incontrato Francesco Durante, che conoscevo come traduttore di Bret Easton Ellis, e con cui ho presentato il mio primo romanzo, a Napoli. E mi ha fatto da guida per un giorno».
Che cosa le ha mostrato?
«Alle Gallerie d’Italia, in via Toledo, c’era il quadro di una ragazza, La monacazione di Giulia Spinelli. Mi colpì per il suo sguardo malinconico. Durante mi ha raccontato la storia di lei e Pergolesi, ovvero di quella musica che amavo così tanto. Fra l’altro, Francesco Durante era il nome del maestro di Pergolesi: un destino».
Che storia è la loro?
«Lei appartiene all’aristocrazia napoletana del primo Settecento e prende lezioni da questo giovane compositore. I due si innamorano, ma i fratelli la scoprono e la minacciano di uccidere l’amato; così, per salvare Pergolesi, Giulia decide di sposare Gesù e chiede che il musicista suoni l’organo alla cerimonia di monacazione, per vederlo un’ultima volta».
Come finisce?
«Lei si rinchiude a Santa Chiara e, in sei mesi, muore di crepacuore. Dopo un anno muore anche lui, pare di tisi. Secondo Benedetto Croce, questa storia era una leggenda; io preferisco credere sia vera».
In tutto questo c’entra anche Hemingway.
«L’unica pièce presente nei Quarantanove racconti è Oggi è venerdì ed è ambientata dopo la Crocifissione, con i soldati romani che vanno dal locandiere George, che poi era il nome del barista del Ritz da cui andava sempre Hemingway... Il Requiem, Hemingway, le parole di Cristo sulla Croce: tutto questo mi ha toccato, anche se confesso di non avere il dono della fede, e mi dispiace. Ma la figura di Cristo mi commuove sempre: è uno dei protagonisti della storia, con l’amore impossibile di Giulia per lui».
Perché impossibile?
«Gesù non si manifesta e non la salva. Perché non è più fra noi: è tornato a essere Dio, che ha da fare e non può stare dietro ai nostri dolori».
Dice di non credere, ma il romanzo parla molto di fede.
«Sì, certo, perché penso che sia necessaria all’uomo, per la sua finitezza. Perché, quando perdi le persone che ami, la cosa più naturale è sperare di poterle incrociare dopo la morte e lì entra in gioco la fede: è quello che ci ha promesso il Figlio di Dio sulla terra. Ma la mia razionalità fa fatica a credere e provo una certa invidia per chi ci riesce».
Quindi, secondo lei, esiste un legame fra lo Stabat Mater e l’amore impossibile vissuto da Pergolesi e Giulia?
«Lo Stabat Mater è il lamento di Maria sotto la Croce. Però la mia idea è che la musica di Pergolesi possa avere a che fare anche con un altro dolore; che la sofferenza di Maria possa essere quella di Giulia e Giovanni Battista, quella di chi perde la persona amata. Temo che un filologo musicale possa bacchettarmi, ma è la libertà che ci si prende scrivendo a proposito di una storia che ha pochi dati documentati. E questa libertà, a volte, ti avvicina alla realtà più di quando cerchi di scrivere di essa».