La Stampa, 28 maggio 2024
Intervista a Ivan Cotroneo
Nei giorni in cui Cannes premia Karla Sofia Gascòn, stasera Ivan Cotroneo sale sul palco dei Diversity Media Award insieme a Vittoria Schisano: anche lei attrice transgender, è (per la prima volta in Italia) la protagonista assoluta di una serie, La vita che volevi, che Netflix programma da domani. Prodotta da Banijay Studios Italy e scritta da Cotroneo con l’inseparabile Monica Rametta, e da lui diretta, ruota attorno a Gloria, donna bellissima e dallo sguardo triste, che dopo essersi faticosamente costruita una vita di normalità e di successo, deve improvvisamente confrontarsi con un pezzo – importante ma rimosso – del suo passato pre-transizione, tale da mettere in discussione tutto quello che è e che ha. Nel cast anche Giuseppe Zeno, Pina Turco e Alessio Lapice.
Ai Diversity Ivan Cotroneo ha già partecipato più volte, due perché premiato per le sceneggiature di È arrivata la felicità e La compagnia del Cigno. Oggi – ci dice – è qui solo per «festeggiare colleghi che portano alla luce, con un linguaggio corretto e inclusivo, temi (non solo Lgbtq+) in genere ignorati o trattati in modo scorretto o macchiettistico». Si tratta, continua, «di una stagione davvero felice per come ha toccato in modo forte la diversità, a partire da titoli come quello di Paola Cortellesi. Ma non solo». Se nei media non ci si può lamentare, «malgrado l’Italia abbia problemi quanto a libertà di stampa secondo i report internazionali», Cotroneo denuncia una paura di fondo: «Sento che sulla questione dei diritti in generale, è in corso un vistoso arretramento: messi sempre più in discussione rispetto a qualche anno fa».
Davvero siamo messi così male?
«Per certi versi, sì. Mi spiego: la società è molto più avanti di chi la rappresenta. Lo affermano ricerche come quella annuale dell’Ipsos che documenta una maggiore accettazione e inclusività da parte dei cittadini. Non così i politici e certa informazione, che quell’inclusività non la vogliono o la negano».
A cosa pensa? A Vannacci in corsa per le Europee? Al manifesto della Lega che contrappone uomini incinti a famigliole al tramonto?
«Mi vergogno per il mio Paese, che amo: lo vorrei migliore, o almeno meglio rappresentato. Mi vergogno che nelle liste ci siano certe persone. Mi vergogno di quello che dicono di omofobo e razzista. Di chi fa disquisire consessi solo maschili su temi delle donne. Mi vergogno di campagne, generate ad arte per accrescere paure, che esprimono parole d’odio pericolosissime. Ho superato i 50, sono un adulto formato. Ma, mi chiedo, come mi sentirei se avessi 15 anni, quanto sarei spaventato? Viene usato un linguaggio di esclusione che considero inaccettabile e lesivo della dignità mia e di ogni persona».
Come pensa verrà accolto La vita che volevi?
«Si tratta del racconto del coraggio e della forza di donne che vivono un grande amore impossibile, perché una delle due ha intrapreso un percorso di transizione. Ed è una storia come ne vedo tante: ci paiono straordinarie solo perché in genere al centro della narrazione ci sono persone cis. Su questo aspetto del mondo femminile c’è nel cinema e nella tv italiana un vuoto: con Monica Rametta abbiamo pensato fosse il momento per colmarlo. Almodovar è dai tempi de La legge del desiderio (del 1987, ndr) che lo fa. Mi sono rifatto a lui e al melò alla Douglas Sirk, ma anche a certe situazioni di Filumena Marturano».
Gloria, al di là delle difficoltà vissute nel passato, vive una vita normale, non borderline. Perché è importante raccontare una storia come la sua?
«In genere la figura del transgender è marginalizzata o punitiva, finisce male. E invece nella realtà sono moltissime le persone che vivono un quotidiano del tutto normale. Hanno, come dice il titolo, “conquistato la vita che volevano”, seppure a caro prezzo. Però, ribadisco, non è la transizione né il mondo dei transgender il cuore della serie, ma la ricerca dell’amore e della felicità. Uno dei cardini del mio lavoro è il rifiuto dei cliché. Sono insofferente verso le banalizzazioni».
Quanto è stata fondamentale Vittoria Schisano?
«La protagonista doveva essere una persona con un passato e un percorso simile a quello che racconto. Vittoria – che conoscevo ma in modo superficiale, non ne avevo neppure letti i libri – lo ha, e ha intelligenza, bellezza ed empatia come Gloria, ma non abbiamo mai raccontato fatti della sua vita. Però, come lei stessa ci ha detto, ha vissuto situazioni molto simili. Questo perché doveva interpretare il personaggio, avere punti di contatto. Essere Gloria, non Vittoria».
A Cannes per la prima volta come miglior attrice è stata premiata la transgender Karla Sofia Gascòn. Quanto è importante un riconoscimento come questo per la causa lgbtqia+?
«Credo e mi auguro che contribuisca al cammino che la società ha già intrapreso, di inclusione e condivisione di ogni persona. Sono però anche sicuro che Gascòn ha ragione quando dice che ci sarà chi commenterà con odio il premio. È compito di una società civile, e quindi anche nostro, farle sentire che ogni inaccettabile discorso di odio è solo la recrudescenza finale di una minoranza conservatrice che non è capace di accogliere tutti con amore». —