il Fatto Quotidiano, 28 maggio 2024
Quanti eroi feriti (e suonati)
La sera dopo la tempesta di Sunderland, Bruce Springsteen ha tenuto un discorso. Paul McCartney, maestro di cerimonie, lo aveva preso amabilmente in giro. “Sarò breve, proprio come i suoi concerti”, le parole dell’ex Beatle per indurre l’amico americano ad accettare, primo nome internazionale, la cooptazione nella Ivors Academy, la più alta onorificenza della musica britannica. Springsteen, lusingato, aveva ricordato il “tempaccio infernale” e i “venti di traverso” che 24 ore prima erano stati elementi di tregenda del suo set. “Tuttavia, nonostante la tempesta, la mia gente era lì davanti a me, alcuni giovani e bambini, molti altri con le rughe sul volto e i segni di un meteo inclemente sopportato per tutta una vita vissuta bene”.
Allo stadio di Sunderland la bufera gli aveva procurato problemi di intonazione su Thunder Road. Così giovedì alla Ivors Academy la voce del Boss era già meno ferma del solito. E sabato a Marsiglia, a metà del soundcheck, l’eroe si è dovuto arrendere. Afono alle sei del pomeriggio, mentre “la sua gente” affollava il Velodromo. Stop forzato. Il medico gli ordina una decina di giorni di riposo, salta stasera la data di Praga, rimandati i due appuntamenti a San Siro del 1° e del 3 giugno. Ok, biglietti validi, rimborsi assicurati, ma per gli springsteeniani della Penisola il trauma è profondo.
Il Meazza è la casa di Bruce: qui tenne il suo primo leggendario concerto italiano nel 1985, qui si è esibito affrontando fulmini, saette e nubifragi, qui ha convinto tutti che non c’è cielo così piombato che il rock non possa riaprire, e tra cover e pezzi suoi lo ha gridato senza cedimenti, who’ll stop the rain, waiting on a sunny day, no surrender… Ma se l’Eroe resta muto, vuol dire che gli Dei avversi hanno compiuto la loro perfida vendetta. Logorio dopo mille battaglie? L’autunno del patriarca? Sì, boh, forse. Ma vai a trovare una soluzione ora: salvo aggiornamenti clinici la carovana ripartirà il 12 giugno da Madrid. Anche con il Boss risanato resta il problema di recuperare il doppio San Siro (“annuncio a breve”, giurano gli organizzatori): il segmento europeo del tour termina il 27 luglio a Wembley, poi si torna nelle piazze nordamericane fino a novembre. In un’agenda zeppa, trovare due nuove caselle per Milano (e Marsiglia, Praga) è un rebus.
Dal 7 giugno al 14 luglio, con Bruce comunque altrove, lo stadio meneghino sarà quasi stabilmente occupato da eventi musicali: sette volte Vasco, due Sferaebbasta, Club Dogo, tre Pezzali, Zucchero, due Taylor Swift. A un mese dalla ripartenza della Serie A, occorrerà riseminare il prato devastato da palchi e pubblico, Milan e Inter faranno la voce grossa. C’è il rischio concreto che il rinvio per il Boss sia sine die. E questo perché il vero rock non può ammettere trucchetti e aiutini.
Hai 74 anni suonati? Canti per tre ore? È il valore aggiunto di Bruce e dei prometei del r’n’r. Dare tutto, finché ce n’è. Non puoi truffare la tua gente. Se senti che devi uscire dal campo alzi la mano anche prima di emettere una sola nota. Il vulnus insanabile è nel tuo corpo. Altrimenti the show must go on a ogni costo. A Ferrara nel maggio 2023, subito dopo la tragica alluvione dell’Emilia, la produzione internazionale non contemplò spostamenti di calendario “per lutto”. Qui invece l’incaglio è personale: già accaduto lo scorso anno, cinque show rimodulati per un’ulcera peptica di Springsteen. Che ha sì un motore nato per correre, ma il contachilometri lancia segnali d’allarme.
Senilità? Capita anche a rocker meno incanutiti. Due anni fa i Pearl Jam cancellarono Vienna: l’ugola di Eddie Vedder si era intossicata per gli incendi che avevano flagellato Parigi la notte del loro live. A Berlino, nel 2018, Bono ammutolì dopo quattro canzoni: colpa delle macchine per l’effetto-fumo. Lo scorso novembre, col Palaeur già pieno, è stato Ligabue a dichiarare forfait causa influenza.
In altri casi, la grana è più duratura e insidiosa di un colpo di freddo: a giorni uscirà il nuovo album dei Bon Jovi, Forever, e intanto il frontman Jon valuta il ritiro. Dopo l’operazione a una corda vocale atrofizzata, teme di non poter più tirare fuori, in scena, gli acuti di una volta. Stesso motivo per cui Robert Plant non ha mai accettato una reunion stabile dei Led Zeppelin: gli interventi chirurgici alla gola di decenni fa lo hanno indotto a più confortevoli performance blues e country.
Però non tutto è perduto, lo ha appena dimostrato Brian Johnson a Campovolo. Aveva lasciato gli AC/DC nel 2016 per rischio sordità, ed eccolo di nuovo in mezzo alla band. Come sia, a strillare per una vita paghi pegno, si è visto con quel cappone di Axl Rose l’estate scorsa al Circo Massimo: oggi i Guns’N’Roses meditano di incidere un nuovo disco, forse lì il cantante sarà sostenuto dai tools. In studio di registrazione si fa; dal vivo gli eroi del rock non possono mentire. Quelli del pop sì: Madonna pareva sconfitta dal declino fisico ed era finita in terapia intensiva prima di tornare sul trono. Tra ballerini e playback.