Corriere della Sera, 27 maggio 2024
Trump al finale del processo-show Le mosse in caso di condanna
Dopo 20 giorni passati in tribunale (in media quattro alla settimana) e 22 testimoni, il processo a Donald Trump, accusato di aver nascosto i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels, volge alla fine. Domani ci saranno le arringhe conclusive ed è possibile che la giuria arrivi al verdetto già questa settimana.
Sarà l’unica sentenza penale prima delle elezioni di novembre: gli altri tre processi sono nel limbo. Anche per questo il tribunale Art déco di Manhattan, costruito negli anni Quaranta nel luogo dove ai tempi di Dickens sorgeva un complesso denominato «le tombe» per le miserabili condizioni delle sue prigioni, è stato per un mese the place to be del giornalismo americano. Dalle prime ore del mattino si incontravano fuori, in fila, «vip» come Maggie Haberman del New York Times e Jake Tapper della Cnn (modererà a giugno il dibattito tra Biden e Trump, che lo chiama «Fake Tapper»), insieme a centinaia di curiosi – inclusi avvocati e professori di Storia – arrivati anche da altri Stati per assistere a un processo storico. Essendo vietate le riprese, per vedere bisognava esserci: entrare nell’aula 59 del 15°piano (dove si vedeva Trump solo di schiena ma si potevano osservare le espressioni dei 12 giurati) o nell’aula adiacente, dove il procedimento era mostrato in video (vedevi in faccia Trump e i testimoni, ma non i giurati).
L’ex presidente non era l’unico ad avere difficoltà a tenere gli occhi aperti sotto le luci fluorescenti. Era difficile vedere se non eri in prima fila (Jonathan Swan del New York Times, arrivava armato di binocolo). Ma a tener svegli tutti ha contribuito Stormy Daniels (con dettagli come l’aver sculacciato Trump con una rivista: lui ha imprecato in aula, ammonito dal giudice Juan Merchan). Ci sono stati altri momenti drammatici, quando le ex dipendenti Hope Hicks e Madeleine Westerhout hanno pianto sotto giuramento (e sotto lo sguardo attento di Trump); quando Merchan ha mandato via i giornalisti per redarguire Robert Costello, testimone della difesa che aveva sbuffato «Gesù!», contestando il giudice.
La strategia
L’ex presidente non ha testimoniato, ma ha avuto l’attenzione dei media per settimane
Un giorno ci siamo trovati seduti accanto a Michael Wolff, autore del bestseller Fuoco e furia sulla presidenza Trump, che si diceva colpito dalla «chiarezza delle prove contro l’ex presidente». La procura ha iniziato con David Pecker, l’editore di tabloid che nascose nel 2016 storie dannose sul suo amico Donald per influenzare l’esito delle elezioni, e ha concluso con il testimone chiave Michael Cohen, avvocato di Trump che pagò Stormy quando minacciava di parlare del rapporto sessuale col tycoon: Cohen ha detto di aver agito su ordine del capo, che lo rimborsò con documenti falsi («spese legali»).
Come andrà a finire? Le probabilità di una condanna sono buone (anche perché siamo a Manhattan) ma non è affatto una certezza, secondo Ankush Khardori, ex procuratore federale che scrive per il sito Politico e ci tiene il posto in fila all’alba mentre andiamo a comprare il caffè. Per ottenere la condanna, l’accusa dovrebbe aver convinto i giurati non solo che Trump fosse a conoscenza della falsificazione dei documenti, ma che questo sia stato fatto per nascondere un altro crimine (interferenza elettorale: evitare che gli elettori nel 2016 sapessero che aveva pagato una pornostar). Lo dice Cohen, ma non è corroborato da prove definitive, per cui molto dipende dalla credibilità di un uomo che in passato ha mentito in tribunale e al fisco (e rubato 60 mila dollari alla Trump Organization). Anderson Cooper della Cnn ha deliziato i trumpiani dicendo che i giurati non lo riterranno credibile. Basta che uno solo rifiuti di condannare Trump perché manchi l’unanimità e in tal caso il giudice potrebbe dover annullare il processo: una vittoria per Trump.
Una condanna, che sfocerebbe in un lungo processo d’appello, potrebbe secondo un sondaggio dissuadere un quinto dei sostenitori di Trump dal votarlo, ma c’è chi pensa che tra 5 mesi influirà poco in un’elezione in cui la priorità è l’economia. Trump ha saputo navigare il processo. Ha evitato di deporre per non auto-danneggiarsi. Pur dicendosi costretto a recarsi in tribunale da un sistema «corrotto e asservito a Joe Biden», appariva in tv due volte al giorno in conferenza stampa, ha fatto comizi non ortodossi che hanno fatto notizia (con successo nel Bronx, con fischi alla convention «libertaria»). E ha chiamato in aula i suoi alleati del Congresso e persino un leader della gang dei motociclisti Hells Angels: tutti pronti ad attaccare il sistema giudiziario per lui.