La Stampa, 27 maggio 2024
L’avanzata della destra populista e i rischi per l’Europa in stato di guerra
La svolta che si potrebbe determinare con le prossime elezioni per il Parlamento europeo da una “governance” fondata sulla “grande coalizione” tra socialdemocrazie di vario tipo e forze di centro, a una con la presenza determinante di partiti e movimenti dichiaratamente di destra, dovrebbe invitare a una riflessione di respiro culturale e storico, lontana da ideologismi e tifoserie. È un effettivo pericolo per i destini di Europa e di Occidente il loro eventuale affermarsi? Di quale “destra” si tratta, da quali componenti è formata? Fino a qualche tempo fa sembrava potersi porre un discrimine molto semplice: la destra nazionalista marciava contro l’idea stessa di un’unità politica europea. La sua prassi obbediva a una visione identitaria opposta per natura ai processi di globalizzazione. Le ultime tragedie hanno reso molto aleatorio questo pericolo, proprio nel momento in cui spingono a rimandare pressoché sine die la prospettiva di un’Europa politicamente unita sulla base di un’autonoma strategia. Lo stato di guerra costringe all’unità sul piano sostanziale della politica estera e militare intorno al Paese ancora saldamente leader dell’Occidente. Una destra “al potere” domani in Europa difficilmente potrebbe mutare alcunché sulla linea che oggi si percorre. Le decisioni saranno prese altrove comunque.
Quali differenze reali e quali eventuali pericoli, allora, rispetto alla storia dell’Unione fin qui vissuta può rappresentare e comportare una svolta di “destra”? Esistono certamente al suo interno pulsioni restauratrici-reazionarie. Vengono da lontano, affondano in passati non solo remoti della cultura europea. Un pensiero della “restaurazione”, i cui principi contraddicono quelli illuministici della Grande Rivoluzione, pervade la storia dell’Occidente europeo, e non si limita certo al periodo dei De Maistre, dei Bonald, dei Donoso Cortes. Esso si ripresenta, in forme più o meno esplicite, in ogni critica della democrazia rappresentativa e del regime parlamentare, in quanto dissoluzione di ogni Autorità e incapace strutturalmente di dar vita a élites politiche competenti e stabili. Le osmosi tra questa prospettiva e altre, di segno opposto ma mosse da una critica altrettanto radicale del “parlamentarismo”, sono innumeri. La domanda è: esiste oggi una destra che incarni tale prospettiva? Solo apparentemente – in realtà non si tratta altro che di populismo, opposto in sé a ogni idea elitaria del potere politico. Ci troviamo di fronte a una caricatura di quella critica autenticamente reazionaria della “democratizzazione” propria in particolare di quelle correnti del pensiero europeo novecentesco che sono state efficacemente indicate col termine di “rivoluzione conservatrice”. Il pericolo vero abbraccia oggi l’intero schieramento politico: tutti democratici e nessuno in grado di esprimere riforme serie per far funzionare la democrazia all’altezza delle rivoluzioni e delle sfide in atto.
Ma, si dirà, i “valori” della destra contrastano radicalmente con quell’idea di difesa e sviluppo dei diritti della persona, che è certo immanente alla concezione della democrazia. I “valori” sono tali, però, fin quando valgono, e cioè esprimono un effettivo potere. Si tratta di vedere, dunque, fin dove davvero possano quelli sbandierati dalle destre. Nulla o quasi, poiché qualsiasi reale contrasto da parte loro nei confronti della dominante cultura individualistico-economica si tradurrebbe in una loro disfatta. Lo stesso vale per un certo anti-capitalismo romantico che appare e scompare continuamente nella storia delle destre europee (e anche qui le osmosi con l’ “altra parte” sono innumeri), anti-capitalismo che può assumere i toni aspramente polemici contro il primato anglosassone dell’Economico, quelli di un pensiero tradizionale-esoterico, oppure quelli laico-pragmatici di uno Stato sociale rivendicante il proprio primato contro i “poteri forti”. Nessuno di questi “pericoli” assume oggi una consistenza politica che vada oltre la propaganda di brevissimo periodo.
Il pericolo che coinvolge tutti è l’impotenza a governare i processi di globalizzazione e gli squilibri geo-politici che essi comportano. Ideologie o nostalgie proprie delle destre rendono tale impotenza ancora più grave, ma non la producono certo. Il pericolo maggiore che esse rappresentano è che, nella loro astratta difesa di “identità” valoriali al di fuori di ogni consapevolezza critica, si renda ancora più difficile affrontare con disincanto e realismo la vera questione: che l’Occidente, oggi Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper “tramontare” da tale volontà, non per sparire, ma, all’opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico. Tutti i dati demografici, economici, i movimenti tra i popoli dicono che questa sola è la strategia in grado di evitare la catastrofe e realizzare un mondo che superi l’inferno attuale.
Se un tratto ha invece sempre caratterizzato le destre europee è l’enfasi sulla volontà di potenza. Potenza del proprio Paese, potenza dell’Occidente contro le culture che non ne ammettono la supremazia. Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’approssimarsi reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte “sinistre”, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero “in grande” di certa destra europea.
Tutto alla fine è potenza. Quest’idea va sconfitta, poiché porta l’Occidente alla sconfitta. Tutto è logos, occorre dire. Al principio, sta la parola che accorda e convince, sta il dialogo politico, il riconoscimento della libertà dell’altro. L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della Terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse la garanzia della propria stessa pace. Che destre e sinistre lo comprendano, pongano così termine al loro secolare, tragico dissidio, e si possa finalmente iniziare una nuova Politica. —