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 2024  maggio 27 Lunedì calendario

Intervista a Karla Sofía Gascón

CANNES – Karla Sofía Gascón, monumentale e bellissima in abito nero raffinato, sovrasta il vincitore della Palma d’oro Sean Baker (Anora )di almeno trenta centimetri: «Prego – gli dice – hai vinto la Palma più grande, passa avanti». Ma in questa terrazza del Palais che celebra il palmarès di Cannes 77, la più cercata dai fotografi e dai giornalisti è lei, madrilena, classe 1972, la prima attrice trans premiata come migliore interprete nella storia del Festival. Ha vinto insieme alle colleghe (Zoe Saldana, Adriana Paz, Selena Gomez) del musicalEmilia Pèrez di Jacques Audiard.
Karla Sofía interpreta un boss del narcotraffico che decide di cambiare sesso e vita. E mentre nella magnifica festa sulla spiaggia del Majestic la presidente di giuria Greta Gerwig si scatena scalza in pista con i suoi giurati, Karla Sofía siede finalmente su una sedia –la Palma ben stretta sul grembo – e si racconta in un italiano fluido, «la vostra lingua la parlavo meglio anni fa, il primo ruolo da donna, subito dopo la transizione, l’ho fatto in un vostro film girato a Taranto, Uomini e altri inconvenienti, ancora deve uscire».
Quando ha imparato l’italiano?
«A venticinque anni sono andata in Italia a lavorare in programmi della Rai e di Canale 5. Facevo l’animatore della trasmissione comica Gommapiuma, muovevo quei pupazzoni che avevano la faccia del Papa e di Pavarotti... PoiSolletico,lo show per bambini.
Ricordo con affetto Paolo Limiti, sono stata mille volte a casa sua, ho partecipato ai suoi programmi.
Cantavo, ho un bellissimo ricordo di quel gruppo di lavoro. Mia moglie Marisa lavorava con noi, una bella esperienza. L’Italia la conosco tutta, la amo, ma il mio posto preferito è Milano, ci ho vissuto un anno.
Piazza Duomo è la più bella del mondo ma non reggevo il clima, gli spagnoli col cielo grigio di Milano non vanno d’accordo».
C’è un regista italiano con cui vorrebbe lavorare?
«Ben più di uno, sicuramente con Paolo Sorrentino, Parthenope mi è piaciuto. Vorrei lavorare con i più grandi maestri di cinema ma chissà se mi vogliono. Magari faremoParthenope parte seconda».
Ha dedicato il premio alle persone trans che soffrono e contro i “cabrones” che vi dileggiano.
«Questo premio è più importante per le persone trans o della comunità lgbtq+ che per me come attrice. Volevo disperatamente vincerlo per questo, sapevo che avrebbe avuto un valore che trascende il cinema. In Europa le cose vanno un po’ meglio, anche se in ogni Paese ci sono idioti, ma in Sud America le cose sono più complicate. Credo che un premio come questo possa aiutare tanti ragazzi, mi piace poter farequalcosa per loro».
Nel film è un narcotrafficante, capo di un impero, moglie e due figli, che decide di diventare una donna cambiando identità e vita.
«Beh, di certo non ero una narcotrafficante, giusto qualche piantina di marjuana, niente di più.
Quello che ho in comune con il boss Manita/Emilia è la paura di perdere le persone che amo, non lo sopporterei».
Ha 52 anni, la sua transizione è avvenuta pochi anni fa. È stata difficile per tanti motivi, compresi quelli legali.
«È stata dura, ho iniziato il processo di transizione in Messico ma hodovuto fare il percorso burocratico anche in Spagna: servivano nuovi documenti per me, per mia figlia, mi sono appellata a tutti gli uffici. Per me è stato un percorso di grande sofferenza. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesta se fossi necessaria in questo mondo, ho pensato anche di togliermi la vita.
Ed è accaduto a me, che sono una persona positiva, ottimista; immagino come possano sentirsi tanti ragazzi che non hanno la mia forza: spero che questo premio serva a loro. Ho tante amiche lesbiche che, dopo trent’anni, ancora non sono riuscite a parlare alla loro famiglia».
La sua come ha reagito?
«La prima volta che ne ho parlato non è stato facile. Il rapporto era complicato: avevo una relazione in Messico con una senatrice, un periodo folle, due vite parallele.
Dopo la tormenta, però, è arrivato il sereno, oggi siamo felici insieme a mia figlia Victoria, che ha tredici anni. La sua più grande preoccupazione è il compito in classe che la aspetta al rientro a Madrid, teme di non aver studiato abbastanza perché era qui a Cannes con me. I bambini si fanno meno problemi, sono gli adulti che si pongono cento domande: prima avevano un padre, ora una madre… cosa passerà nella loro testa? I problemi dei ragazzi li creano gli adulti con i loro pregiudizi».
Agli hater come reagisce?
«Ogni volta che apro i miei social trovo moltissimi insulti, sempre gli stessi messaggi: “Chi sei?”, “Tu non sei una vera donna”, “Guarda al tuo dna: puoi operarti finché ti pare…”.
Nel mondo c’è una cattiveria che non comprendo. Una giornalista mi ha fatto un’intervista, qui a Cannes, l’ho condivisa sui social ma ho dovuto cancellarla, l’hanno coperta di insulti. Sono una guerrigliera, mi piace lottare, l’ho fatto per anni. Ora però ho deciso di stare tranquilla, questo premio parla per me. La mia battaglia l’ho fatta e ora sento la responsabilità per le persone che hanno un solo desiderio: essere felici».