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 2024  maggio 26 Domenica calendario

La corsa contro il tempo per gli aiuti all’Ucraina (prima del rischio Trump)


È un G7 che sta cambiando pelle quello che l’Italia ha riunito in questi giorni a Stresa, nel suo formato dei ministri economici e dei leader delle banche centrali. La guerra di Vladimir Putin e l’aggressività della Cina di Xi Jinping hanno fatto del G20 un club del dialogo fra sordi, dove poco o niente funziona più fra Paesi avanzati ed emergenti. Persino il comitato dei ministri del Fondo monetario internazionale, che raccoglie tutte le grandi economie, fatica a mettersi d’accordo sui punti più semplici. Il mondo è fratturato in blocchi e il G7, che sembrava sempre meno importante, ritrova la sua vocazione come cartello delle democrazie. È anche per questo che Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha invitato sulle rive del Lago Maggiore il collega di Madrid Carlos Cuerpo malgrado i rapporti pessimi fra i premier Giorgia Meloni e Pedro Sánchez.
Giorgetti aveva però anche una ragione specifica per chiamare Cuerpo: la Spagna è la quarta economia europea e il G7 rischiava di dover prendere decisioni onerose per l’intera Unione. Lo si è visto quando il segretario al Tesoro, Janet Yellen, giovedì ha presentato il progetto americano per far leva sulle riserve russe congelate in Europa. L’obiettivo è anticipare fondi all’Ucraina e garantire così a Kiev dei fondi per il 2025, anche se Donald Trump arrivasse alla Casa Bianca. La decisione dunque va presa in fretta. Yellen ha proposto agli europei un percorso: gli Stati Uniti lanciano un’emissione di debito di alcune decine di miliardi di dollari, destinata all’Ucraina, da rimborsare nel tempo tramite il flusso di rendimenti (fra tre e cinque miliardi l’anno) delle riserve russe per circa duecento miliardi di euro congelate dalle sanzioni; queste oggi sono parcheggiate presso la società finanziaria belga Euroclear e da essa reinvestite. Legalmente i frutti di quegli investimenti non sono proprietà di Mosca ma di Euroclear stessa, dalla quale sarebbero prelevati con una tassa al 100% (sottraendo così dividendi anche alla finanziaria di Stato cinese Kuri Atyak, quarto azionista di Euroclear al 7,5%).
Yellen ha chiesto agli europei una certezza: le decisioni prese a Bruxelles sui proventi delle riserve presso Euroclear non dovrebbero essere soggette, come oggi, a revisioni ogni sei mesi. In caso contrario, si rischia ogni volta che l’intero meccanismo salti sul veto dell’Ungheria di Viktor Orbán. Solo con quella garanzia di continuità da parte europea l’amministrazione americana può indebitarsi sul mercato per finanziare l’Ucraina senza l’autorizzazione del Congresso, dove i seguaci di Donald Trump minacciano di opporsi. Così questa partita per Kiev diventa, sempre di più, uno slalom fra le mine disseminate lungo il percorso dai populisti di destra più ambigui verso Mosca.
Proprio per questo, europei ed americani a Stresa hanno fatto di tutto per mostrarsi uniti sugli aiuti all’Ucraina. La sostanza invece è che il G7 sul Lago Maggiore non ha prodotto l’accordo che sembrava possibile. I governi europei sono contrari all’idea di dover controgarantire e poi rimborsare un’emissione di debito degli Stati Uniti, nel caso in cui i frutti delle riserve dovessero venir meno. Parigi propone che ogni Paese del G7 emetta obbligazioni per finanziare Kiev, da rimborsare con i proventi di Euroclear: ma nell’immediato ciascun Paese rischierebbe in proprio e vedrebbe così il proprio debito aumentare. Dietro le difficoltà tecniche, alcuni vedono l’obiettivo di alcuni governi di assicurarsi ordinativi per la propria industria nazionale della difesa in contropartita al rischio assunto. Giorgetti ha negato ieri che sia così, spiegando che gli aiuti andrebbero al bilancio ucraino e non in acquisto di armi. Ma ora il tempo stringe, la quadratura del cerchio tarda e la sfida è arrivare ad un accordo entro il vertice dei leader del G7 a metà giugno in Puglia.
Non è scontato, viste le difficoltà tecniche e in fondo anche politiche. Ma se il club delle democrazie non riuscisse a prendere una decisione quando Meloni riunirà i leader in Puglia il mese prossimo, a brindare sarebbero solo gli altri: gli stessi che da Mosca e da Pechino hanno fatto saltare il G20, e ora sperano che anche il G7 affondi.