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 2024  maggio 26 Domenica calendario

«Questo romanzo è pieno di oscenità un po’ ovunque Ma che si pubblichi»

Trascriviamo una parte della sentenza del Tribunale di Milano datata 4luglio1956 e depositata in cancelleria il 7luglio1956. La sentenza n. 1808 assolveva l’autore Pier Paolo Pasolini e l’editore Garzanti dalle accuse di oscenità per il romanzo Ragazzi di vita. La sentenza entrava nel cuore letterario del romanzo, un caso unico
Il Servizio spettacolo, informazioni e proprietà intellettuale, e istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri con la sua lettera del 21 luglio 1955, segnalava alla procura della repubblica presso questo Tribunale, per gli eventuali provvedimenti di competenza, il romanzo Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, stampato presso l’editore Garzanti, assumendo che nella pubblicazione riscontravasi contenuto pornografico. Tratti a giudizio per rispondere dell’imputazione in epigrafe trascritta, Aldo Garzanti, ed il Pasolini si mantenevano contumaci, ed il Tribunale con ordinanza emessa all’udienza del 18.1.1956, rinviava il processo a nuovo ruolo, allo scopo di consentire ai componenti del Collegio la previa lettura dell’opera incriminata.***
Interrogati gli imputati e sentiti i testi Bianchi e Bo, acquisite agli atti copie fotografiche di recensioni intervenute sul romanzo in oggetto, raccolte le conclusioni del P.m. e della difesa, i quali hanno concordemente chiesto la assoluzione di Garzanti e del Pasolini, perché il fatto non costituisce reato, il Tribunale, ritiratosi in camera di consiglio, e sostanzialmente aderendo alle istanze formulategli, ha emesso le decisioni che si leggono nel dispositivo più oltre riportato.
A sostegno delle quali si deducono i seguenti motivi. Il dibattimento si è svolto in un clima di serena elevatezza, sia per la natura delle questioni sottoposte al Vaglio del Collegio, sia per la nobiltà degli interventi del P.m. e della difesa, sia, infine, per l’impegno dello stesso imputato Pasolini, di giustificare la sua opera sul piano morale, di porne in luce il significato artistico, letterario, di palesarne, per così dire, la chiave e il motivo conduttore. L’opera è intitolata Ragazzi di vita (e si intendeva dire, ha chiarite il Pasolini, Ragazzi di mala vita) ed è definita romanzo. Forse del romanzo non ha la ampiezza delle proporzioni, o quanto meno l’unità della trama e l’incentramento dell’interesse dei lettori attorno ad uno o pochi personaggi. Forse del romanzo non ha le ambizioni, la struttura, il respiro. È tipico fenomeno anzi della letteratura romanzata del dopoguerra (e si vuole di quella più nobile ed autentica e non dell’altra contrabbandata per buona, ma priva, in realtà, di temi, di ispirazione, di contenuto valido, promanante dai cosiddetti produttori in serie), il prescindere a volte da una trama o comunque da una sequenza di nessi e di aspetti che, sia pure quale pretesto, valgano a dare uno sfondo di personaggi che lo animano e servono di ausilio al lettore nel seguirne e comprenderne le ascese, le perversioni, le sublimazioni, i decadimenti o anche solo le peripezie; altro fenomeno è quello di presentare, talvolta, i soli personaggi, pressocché esclusi e tagliati fuori non solo dal contatto di altri uomini, appartenenti a cerchie o categorie diverse, ma anche dal contatto fra loro medesimi, dalla comunione con la natura delle cose, dalla possibilità stessa di redimersi e perfino di irrevocabilmente perdersi. E allora è fatale che tutti, a egual di rito, possono dirsi protagonisti del libro; non si distingue più il personaggio di secondo piano e quello di contorno, ma tutti rimangono, d’altro canto, ignoti a se stessi, ignoti agli altri, inconoscibili, impenetrabili. La prateria, la via del tabacco, il ponte, la palude, il villaggio, la piccola città o anche solo il sobborgo, valgono sì a localizzare i primi impulsi, la loro ferocia, le loro inibizioni e a volte anche la loro problematica, la loro generosità e le loro meditazioni. Ma costituiscono anche il confine simbolicamente invalicabile, il muro al di là del quale non v’è tregua da sperare, o pace, o isola di sogni, ma solo ignoto, smarrimento e tenebra.
Questi personaggi, che vivono costretti in unione necessarie, alle quali non sanno ribellarsi, in abitudine annose, dalle quali non sanno scuotersi, in collusioni assurde ed umilianti, che hanno rinunziato alla loro dignità di uomini, o forse mai ebbero a conoscerla, che sanno, di rado patire, ma mai appresero cos’è l’angoscia ed il dolore, immoti, incerti, discontinui, vacillanti, di sé diffidenti e degli altri, occupano gran parte della letteratura moderna.
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Orbene, sia il romanzo il libro di Pasolini, sia racconto o anche solo romanzatura, i ragazzi sono contraddistinti, di massima, da quella stessa apatia morale, immobilità, indifferenza, incapacità di perdersi coscientemente e di coscientemente risorgere, di sublimarsi, di anelare, che li accomuna a tutti gli altri, ragazzi, o no, che, fittamente, popolano le manifestazioni artistiche o letterarie dei nostri tempi. Questo si dica, senza peraltro, disconoscerne i valori stilistici, la caratteristicità del gergo posto sullo bocca dei giovani protagonisti, la persistenza di esso nelle parti descrittive e non dialogate (quasi a voler significare un’ideale continuazione del colloquio o a rappresentare, quanto più fedelmente possibile una mediazione od un monologo) e non senza dire che il Pasolini ha saputo dettare pagine di autentico lirismo nelle quali si concludono o dalle quali traggono occasione alcuni episodi del romanzo.