il Giornale, 26 maggio 2024
Quando gli scrittori erano davvero perseguitati (da politici e giudici)
Siamo nell’epoca degli intellettuali perseguitati immaginari. Eccoli arrivare, in branco, a offrire il petto nudo alle fucilate immaginarie di plotoni immaginari. Come se non sapessimo che, in quasi tutti i casi, la postura del ribelle immaginario altro non è che un’operazione di marketing culturale, il ribelle che non fa paura a nessuno si vende bene, è un ottimo ospite televisivo e una attrazione pregiata del circo barnum anche noto come festival letterario (in assenza quasi totale di letteratura o letterati). Insomma, un ottimo prodotto da mettere nello scaffale accanto agli altri prodotti. Ovviamente, il perseguitato immaginario, più è immaginario, e più spazio conquista ovunque: in tutti i rami dell’editoria, in tutti i media, in tutti i salotti. Prospera grazie alle lamentele e si infila dappertutto come la gramigna. Grida al regime e il regime subito lo premia. Non concepisce neppure che qualcuno non lo stimi, non voglia ascoltarlo e non intenda arricchirlo. Le sue trasmissioni in tv sono un diritto umano acquisito tramite la subìta persecuzione immaginaria. Sarà senz’altro censura, «mi vogliono far fuori».
In questa pagina invece vi «presentiamo» un perseguitato reale. Pier Paolo Pasolini fu imputato in trentatré processi, dato per colpevole quasi ogni volta dalla stampa, sottomesso a discutibili comportamenti della magistratura in vita e perfino in morte, dopo l’omicidio che gli tolse la vita nel 1974. Sono processi di ogni tipo, quasi sempre hanno a che fare con l’accusa di essere un artista perverso e volgare. Il più grave, in realtà, è il primo. Risale al 1949, Pasolini è insegnante in Friuli ed è accusato di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori. Finirà in nulla ma Pasolini dovrà abbandonare Casarsa e rifugiarsi a Roma. Verrà inoltre espulso dal Pci e condannato dall’opinione pubblica al punto che, fino a qualche anno fa, l’unico Pasolini di cui si parlava a Casarsa era Guido, martire della Brigata Osoppo e fratello minore di Pier Paolo.
L’approdo a Roma, nel Cinquanta, è occasione per una nuova, fiorente stagione di processi. Come scrittore, Pasolini passa dall’Eden cristiano del Friuli all’inferno delle borgate romane e del sottoproletariato. Nel 1955 esce il romanzo Ragazzi di vita. Il giudizio ufficiale della cultura comunista è negativo. Carlo Salinari è impietoso: «Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sottoproletariato romano ma ha come contenuto reale del suo interesse il gusto morboso dello sporco, dell’abbietto, dello scomposto e del torbido». Altro rimprovero, mosso da Giovanni Berlinguer, è non aver mostrato quanto il Pci avesse migliorato la vita delle periferie. In pratica, i comunisti sembrano condividere la denuncia per oscenità presentata, contro lo scrittore, dalla presidenza del Consiglio in data 21 luglio 1955. A fine dicembre, il procuratore di Milano spicca «citazione per giudizio direttissimo» contro Pier Paolo Pasolini e l’editore Aldo Garzanti (al quale si aggiungerà per auto-denuncia il figlio Livio). Testimoniano a favore di Ragazzi di vita intellettuali come Pietro Bianchi, consulente letterario della Garzanti, e il critico Carlo Bo, che sottolinea il valore «religioso» di un libro sui «poveri e i diseredati». Giuseppe Ungaretti invia una lettera alla corte nella quale loda il realismo e il coraggio di Pasolini. Dopo un anno, il pubblico ministero chiede e ottiene l’assoluzione degli imputati «perché il fatto non sussiste». Il romanzo può tornare nelle librerie.
Nel mercato del collezionismo, è spuntata una copia della sentenza spesso citata parzialmente per la sua stranezza. L’abbiamo letta. Il giudice entra nel merito del testo e lo fa con argomenti più che giuridici da tesi di dottorato in italianistica. Il documento è una velina nel vero senso della parola, forse è una brutta copia, vista la quantità di refusi, anche se porta in alto a destra l’indicazione utile per apporre la carta da bollo.
La lettura è straniante. Ecco qualche passo interessante o divertente. «L’opera è intitolata Ragazzi di vita (e si intende dire, ha chiarito il Pasolini, “Ragazzi di mala vita”) ed è definita romanzo. Forse del romanzo non ha l’ampiezza delle proporzioni, o quanto meno: l’unitarietà della trama e l’incentramento dell’interesse dei lettori ad uno o pochi personaggi. Forse del romanzo non ha le ambizioni, la struttura, il respiro». Ma tranquilli, aggiunge il giudice, è un «tipico fenomeno della letteratura romanzata del dopoguerra».
I personaggi soffrono di «apatia morale, immobilità, indifferenza» e in questo non sono diversi dai ragazzi «che fittamente popolano le manifestazioni artistico-letterarie dei nostri tempi». C’è spazio anche per osservazioni linguistiche e stilistiche. Al giudice pare «una stonatura, forse, la citazione erudita di due versi a pag. 85». Il tribunale ha da ridire anche sulla ortografia: «un errore apostrofare la c davanti alla a».
Indubbiamente la pubblica accusa «ravvisa il contenuto osceno un po’ dovunque» ma la pubblicazione nel suo insieme non si può definire «oscena». Le parole da «suburra» si giustificano «in relazione alla psicologia dei giovani personaggi, agli istinti che li spingono, ai desideri che li muovono». Ci sono pagine turpi ma Pasolini non «s’indugia con malizia». Nonostante i difetti, Ragazzi di vita non è pornografico e l’autore, tra una volgarità e l’altra, «ha saputo dettare pagine di autentico lirismo».
Risultato. Pasolini e Livio Garzanti assolti «in quanto il fatto non costituisce reato». Aldo Garzanti assolto «per non aver commesso il fatto». Tutto finito? Più o meno. La stampa infatti non è del tutto soddisfatta, L’Avvenire d’Italia ed Epoca tornano all’attacco. Molti intellettuali invece esultano, ad esempio Sandro Penna.
Tra i procedimenti subiti da Pasolini ce ne sono di incredibili, addirittura una inspiegabile tentata rapina a mano armata a un distributore di benzina, in anni nei quali Pasolini avrebbe potuto comprarsi il distributore stesso.
Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte (Garzanti) è un libro anonimo, ma curato da Laura Betti, in cui vengono messi in fila processi, articoli, documenti. È una lettura istruttiva. L’anticonformismo di Pasolini era insopportabile perché andava non solo e non tanto contro la morale corrente. Andava contro la morale della sinistra e il mito del progresso. Contestava quella che era la sua parte politica (in teoria più che nella pratica). Per essere veri rivoluzionari, bisogna anche essere rivoluzionari contro sé stessi e contro le proprie idee, se occorre.