Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 26 Domenica calendario

Mezzo secolo di AC/DC

REGGIO EMILIA – Alla fine capita che i mega raduni live da sei cifre siano sempre appannaggio dei mostri sacri del rock, che alla dittatura della musica fatta di streaming, campionamenti e autotune non vogliono arrendersi. Let there be rock, allora, finché ci sarà qualcuno a portare avanti questa bandiera, e ieri a Reggio Emilia centomila anime resistenti hanno voluto tributare il loro omaggio a una di quelle band che del rock – heavy, hard, ognuno dia la sua definizione, che tanto sui dettagli questa generazione gelosa di sé avrà sempre da contestare – hanno scritto la storia. Ieri gli AC/CD hanno portato il loro unico concerto italiano del tour per il cinquantennale a Reggio Emilia, in quello che un tempo fu Campovolo, che per il mondo dei live da pressoché sinonimo di Ligabue è divenuto oggi la Rcf Arena, lo spazio per concerti all’aperto più grande in Europa.
La band sale sul palco con le hit If you want blood e poi Back in black, in uno show che di sole hit è praticamente fatto; facile per chi nel nome dell’hard rock – ok, ci siamo esposti con una definizione – ha costruito una delle carriere più di successo della storia. Non è una notte per b-side e rarità, si va dritti su canzoni immortali scolpite nella storia. Dato statistico: centomila spettatori, 6500 biglietti venduti all’estero, 8000 a Reggio. Una processione verso la Rcf Arena cominciata venerdì, i primi appostati ore prima dell’apertura dei cancelli per un posto in prima fila che, comunque, era oggettivamente raggiungibile anche per chi aveva il biglietto per la Red Zone. Non chiamatela pit, viste le polemiche semantiche nate sul web mesi fa, ma di fatto chi pagò qualcosa in più per quei biglietti anche arrivando nel pomeriggio si sarebbe potuto avvicinare al sottopalco.
Questo, dentro alla Rcf Arena, mentre Reggio è un mare calmo, ordinato e cordiale, di magliette nere che convergono verso il concerto. L’afflusso è nero monocolore o quasi, a parte le corna da diavoletti, strabordante percentuale di magliette griffate AC/DC in barba al precetto che non si va ai concerti con la t-shirt delle band che suona. Meglio portarla da casa, in effetti, visto che ai banchetti del merchandising vengono vendute a 40 euro al villaggio di accoglienza in stazione e sui 50 agli ingressi dell’arena. Money talks, lo sappiamo, ormai. Ma nessuno, del resto, obbliga a comprarle. C’è pure chi ai cancelli del concerto arriva in bici con una Graziella alimentata da vino in tanica come serbatoio e giura di averci pedalato sin da Bologna, per poi confessare di aver solo parcheggiato l’auto qualche chilometro più in giù e aver coperto a pedali la distanza rimanente. In nome del rock, ma fino a un certo punto, si capisce. Reggio è città educata, mica Sin City, che riunisce generazioni come i 39 anni di differenza tra Piero Pelù e Thomas Raggi, il chitarrista dei Maneskin, ospiti nel backstage. Due ore e mezza dopo, «we salute you», poi via lungo l’ Highway to Hell in cui si trasforma la via Emilia sulla strada del rientro.