il Fatto Quotidiano, 26 maggio 2024
Ad “Anora” la Palma d’Oro: a Cannes ha vinto il migliore
Cannes 77, una volta tanto ha vinto il migliore: Palma d’Oro a Anora del regista indipendente americano Sean Baker, che inquadra la relazione pericolosa – e spassosa – tra una tostissima spogliarellista stelle & strisce e uno screanzato rampollo di oligarchi russi. Sullo schermo una Guerra hot, altro che Fredda, questo Pretty Woman riveduto e scorrett(issim)o ha incantato, oltre che la critica, la giuria presieduta da Greta Gerwig: scelta davvero ineccepibile, da farsi perdonare persino Barbie. A bocca asciutta Parthenope di Paolo Sorrentino, il Grand Prix va all’intimista e femminile All We Imagine As Light dell’indiana Payal Kapadia, mentre una importante – si vede che era il più serio contendente di Anora… – doppietta incamera il sorprendente musical narco-trans del francese Jacques Audiard, Emilia Pérez: premio della giuria e all’insieme del cast femminile, con la straripante attrice transgender Karla Sofía Gascón che assicura “è sempre possibile cambiare per il meglio”. Prix d’interprétation masculine, in contumacia, all’americano Jesse Plemons per il temerario Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos, la giuria ha attribuito altresì un premio speciale per The Seed of the Sacred Fig all’iraniano Mohammad Rasoulof: “Sono felice che il film sia finito e presentato qui, ma triste per la catastrofe che vive il mio popolo ogni giorno, sotto un regime totalitario che l’ha preso in ostaggio”. Riconoscimento per la regia al portoghese Miguel Gomes per il raffinato Grand Tour, coproduzione minoritaria italiana (Vivo Film), per la sceneggiatura al body-horror The Substance di Coralie Fargeat, che invita alla “rivoluzione femminile tutti insieme”, la Croisette guarda a Gaza con l’attrice belga Lubna Azabal, presidente della giuria cortometraggi, che invoca “la liberazione di tutti gli ostaggi senza condizioni e il cessate il fuoco immediato”. Palmares – manca solo The Apprentice – da applausi, com’è stato il 77° festival? Comme çi comme ça. Al netto della Palma statunitense, ha pagato l’onda lunga dello sciopero di Hollywood, che s’è presentata con le brache calate: Furiosa: A Mad Max Saga è già un flop globale; Kevin Kostner che s’è ipotecato quattro case per il polpettone western Horizon avrebbe meglio investito nei gratta&vinci; Meryl Streep e – a laurearlo lo “sconfitto” Francis Ford Coppola in omaggio alla New Hollywood – George Lucas irreprensibili Palme d’Onore, fanno fino, e poco altro. Poi, le turbolenze ad alta quota: il Napoleone della Septième Art, il delegato generale Thierry Fremaux incredibilmente sottotono, a corto di barbiere e con mille pensieri, dal ficcanaso Mediapart che indaga sui suoi domini festivalieri di Cannes e Lione alla paventata messa sotto tutela, di “genere”, da parte della presidentessa Iris Knobloch. Già, il #MeToo francofono, alla vigilia circolavano sui social le liste di proscrizione, con dieci cineasti – di cui più di qualcuno in cartellone al festival – tacciati di molestie e abusi: s’è risolto in un nulla di fatto, a parte le acque avvelenate e il mal d’animo. Non bastasse, ecco una programmazione, se non iniqua, sperequata: una prima settimana da stracciarsi le vesti per la manifesta mediocrità del Concorso; una seconda da ringalluzzire i perseveranti, con un pugno di titoli di valore, che certamente ritroveremo agli Oscar. Ah, la gente: poca, meno dell’anno scorso, che già sapevamo, per qualità filmica e mole festivaliera, irripetibile. Insomma, buona la prossima, e auguri a noi, les italiens, orfani di Palma dal 2001 di Nanni Moretti: La stanza del figlio, ormai nipote. Non resta che guardare a Venezia, nella speranza che i conti non tornino: nel 2023 con tre italiani in competizione a Cannes ce ne furono sei in concorso alla Mostra, non è che a ‘sto giro ce ne ritroviamo otto? Lumière ce ne scampi.