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 2024  maggio 26 Domenica calendario

L’ombra dello zar si allunga su Chisinau. Usa e Ue accelerano i tempi per fermarlo

Aver vincolato la propria rielezione al «sì» per Bruxelles equivale per la presidente Sandu a un referendum su se stessa Dal Cremlino un salvacondotto e un futuro ben remunerato a quanti dissentono
I Paesi Nato, che forniscono armi all’Ucraina, dovrebbero permettere a Kiev di utilizzarle anche per colpire obiettivi militari in Russia. Lo ha detto all’Economist, il segretario generale Jens Stoltenberg. Secondo il settimanale britannico, il leader dell’Alleanza si riferisce in particolare agli Stati Uniti. «È il momento che gli alleati valutino di eliminare alcune delle restrizioni sull’uso delle armi che hanno dato all’Ucraina», ha detto. «Negare all’Ucraina la possibilità di usare queste armi contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo rende molto difficile per loro difendersi», ha spiegato. Si tratterrebbe di una nuova torsione del fronte occidentale, anticipata dal Dipartimento di Stato Usa, che con in testa il presidente Biden si era impegnato a fissare una linea rossa nel non utilizzo sulle armi occidentali, mentre di facciata sostiene che «mai un soldato Usa» entrerà in Ucraina. «L’Italia non è in guerra con nessuno e se è stato giusto aiutare militarmente l’Ucraina, allo stesso tempo non se ne parla nemmeno di togliere il divieto a Kiev di colpire obiettivi militari in Russia», ha detto il vicepremier italiano Matteo Salvini. Polonia, Finlandia e Norvegia, Paesi Nato confinanti con la Russia, hanno poi concordato di creare un «muro di droni» per proteggere i loro confini. Al progetto aderiscono anche Estonia e Lettonia. La guerra non si ferma. Un raid russo ha colpito un ipermercato di bricolage a Kharkiv. I morti per ora sono 4 anche se, secondo Zelensky (che non ha perso l’occasione per l’ennesima volta di dire che «con le armi occidentali non sarebbe successo»), al momento del bombardamento nella struttura c’erano 200 persone.
NELLO
SCAVO
Inviato a Chisinau
Appena annunciate per il 20 ottobre le elezioni presidenziali, nello stesso giorno del referendum per l’ingresso in Europa, la presidente moldava Maia Sandu ha dovuto affrontare un’imprevista crisi di sistema. Dopo avere scommesso tutto sul definitivo addio a Mosca, 20 dei 40 magistrati della Corte d’appello di Chisinau hanno firmato le dimissioni. Solo una sfortunata coincidenza, assicurano i togati. Da quanto trapela, sulle lettere di addio c’è scritto «per motivi personali». L’organo di governo della magistratura sta facendo il possibile per affrontare le «questioni personali» esplose all’improvviso e in sincronia, per riportare i colleghi ai loro scranni. Anche perché dalla Corte d’appello passano le più scottanti inchieste, e i prevedibili ricorsi elettorali.
Aver vincolato la propria rielezione al «si» per Bruxelles equivale per Sandu a un referendum su sé stessa. Ma la Russia di Putin non lascia mai andar via con le buone quelli che guarda come figli ingrati dell’ex Unione Sovietica. Molti si aspettavano un altro segnale di destabilizzazione dalla Transnistria, l’enclave filorussa non riconosciuta, ma dal Cremlino è arrivato l’ennesimo messaggio trasversale. L’oligarca moldavo latitante Ilan Shor, condannato a 15 anni per crimini finanziari da diversi miliardi di euro, ha ricevuto la cittadinanza russa. Era scappato nel 2019, ottenendo la protezione di Israele che ne ha negato a lungo l’estradizione verso Chisinau. Da febbraio il quarantenne Shor è in Russia, dove ad attenderlo c’era il nuovo passaporto. Il movimento moldavo che lo rappresenta porta il suo nome, quel partito “Shor” messo fuorilegge dalla Corte costituzionale. Ancora una volta ci ha pensato Putin a offrire un salvacondotto e un futuro ben remunerato a quanti volessero dissentire dalla presidente Sandu: Marina Tauber, deputata di “Shor”, ha ottenuto la cittadinanza russa e durante un recente viaggio a Mosca le è stato conferito a nome di Vladimir Putin “l’Ordine dell’Amicizia”. Il messaggio è fin troppo chiaro: Mosca non abbandona neanche i filorussi non dichiarati ed è pronta a sostenere i Paesi che non vogliono gettarsi tra le braccia di Ue e Usa. Mykola, che a 75 anni ha una pensione da fame ed è costretto a vendere fiori e ciliegie fino a tarda sera nel parcheggio del centro commerciale, di fianco alla cattedrale ortodossa e in mezzo ai macchinoni dei profughi ucraini, dice che i vecchi in Transnistria se la passano meglio, perché Putin integra la loro pensione da 80 euro con 2000 rubli al mese, che fanno 20 euro. Per contrastare le infiltrazioni nella campagna elettorale, il governo moldavo ha istituito il “Centro per la comunicazione strategica”. Monitora due indicatori che spesso procedono a pari velocità: le fake news e i flussi di denaro dall’estero. Per prima cosa è stato sottratto il controllo dell’aeroporto internazionale di Chisinau a una società di gestione russa.
«C’era di tutto – ha dichiarato l’ambasciatore dell’Unione Europea in Moldavia, Janis Mazeiks – dal trasporto in aereo di cifre in contanti appena sotto il limite consentito dalla legge (10 mila euro, ndr), a un carico di carte di credito prepagate con centinaia di euro ciascuna». I soldi arriva comunque. «Da quando il miliardario Shor è cittadino russo – riferisce ad Avvenire una fonte dell’intelligence europea in Moldavia – le operazioni di finanziamento vengono condotte attraverso spedizioni diplomatiche da Mosca, che non possono essere ispezionate». L’immarcescibile stratagemma della «valigia diplomatica». Vecchi trucchi per nuove manovre. Perciò la chiave di tutto, da qui alle elezioni, è la magistratura. E con l’aria che tira c’è chi preferisce mettere la toga sotto naftalina. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, ad esempio, l’ex presidente della repubblica moldavo Igor Dodon è indagato per svariati reati. Tre inchieste sono all’esame dei tribunali moldavi, altre due indagini sono ancora in corso, mentre il politico socialista dichiaratamente sostenitore di Putin e contrario all’ingresso nell’Ue, si è però rivolto alla Corte europea per i diritti dell’uomo denunciando la Moldavia che gli ha negato il permesso di recarsi in Romania per asseriti controlli sanitari. È finita che anche il suo dottore moldavo è indagato per falsi certificati medici.
Tra indizi concreti e caccia alle streghe, a Washington prendono sul serio il rischio del licenziamento di Sandu per mano di Mosca. La prossima settimana il Segretario di Stato americano Antony Blinken raggiungerà Chisinau, capitale di un Paese pressoché disarmato e ai confini con l’Ucraina, alla vigilia della riunione informale dei ministri degli Esteri della Nato a Praga. Molto dipenderà dalle elezioni europee di giugno. Da Bruxelles sventolano euro sotto il naso degli elettori moldavi. I media locali ricordano che il prossimo Parlamento Ue deciderà le voci di spesa per il bilancio 2028-2034. L’attuale bilancio settennale è di circa 1.100 miliardi di euro, quello successivo dovrà tenere conto del possibile allargamento all’Ucraina, alla Moldavia e ai Balcani occidentali. Mercoledì Blinken verrà a confermare sostegno politico, investimenti e l’inclusione della Moldavia, non ancora membro Nato, nel “muro di droni” che si vorrebbe costruire anche a Sud dell’Ucraina, dopo Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Norvegia e Polonia. Interrogata sulla possibilità che Kiev e Chisinau entrino a far parte del consesso di Bruxelles, giovedì la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha risposto ha risposto con parole che in Moldavia c’è chi interpreta come un ultimatum: «Equivarrebbe a un’ulteriore espansione verso est della Nato».