La Stampa, 26 maggio 2024
Intervista a Guido Crosetto
«Non esiste un segretario Nato o una nazione che decide la linea per tutte le altre». Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, lo dice e lo ripete. «Non esiste». Vale per Stoltenberg. «Ma vale anche per Macron, quando ha detto “Manderemo i nostri soldati in Ucraina”. La Nato si muove, e si muoverà nell’incontro che avremo a Washington a luglio, portando dei progetti, dei piani, delle idee. Le singole spinte valgono poco». Il ministro parla in videoconferenza da Roma, dov’è stato trattenuto dopo l’ultimo episodio di pericardite. È collegato con l’hotel Principi di Piemonte di Torino. In platea, ad ascoltarlo, ci sono i dirigenti di Fratelli d’Italia che qui lo aspettavano per un evento elettorale. Gli schienali delle sedie hanno un cartello con su scritto «Forza Guido!!». Il sorriso largo del ministro sulla camicia bianca maschera l’affaticamento degli ultimi giorni.
Ministro, come ha preso l’intervista del segretario Nato all’Economist?
«Io ritengo che in questo momento sia sbagliato aumentare una tensione già drammatica. Occorre sì aiutare l’Ucraina a difendersi, perché se non la aiuti scoppia davvero la terza guerra mondiale. Se Putin conquista l’Ucraina si apre necessariamente, quasi automaticamente, la terza guerra mondiale. L’aiuto all’Ucraina serve a non fare scoppiare la guerra. Ma questo aiuto deve essere fatto in modo da lasciare aperta la possibilità della costruzione di una tregua immediata e la partenza di un tavolo di pace».
Ha ricordato le parole di Macron. Oggi il presidente francese incontrerà il cancelliere tedesco Scholz. Non teme un accordo proprio sulle posizioni di Stoltenberg?
«Non è possibile. La Germania ha una costituzione uguale a quella italiana. Noi non possiamo attaccare. Possiamo solo difenderci».
Se l’Italia fosse aggredita, avrebbe una Difesa in grado di reggere?
«Ho l’onore e l’onere di dire la verità, e la risposta è no. Il motivo è semplice: nessuno, negli anni addietro, ha mai pensato che la difesa servisse, che avessimo bisogno di difenderci, che ci fosse la necessità di prepararci in caso di attacco. Se siamo pronti, è solo perché facciamo parte di una coalizione».
L’Italia aumenterà la spesa per la sua difesa?
«Non è una decisione mia. Tutti i governi che si sono succeduti prima di noi – Letta, Renzi, Conte, Draghi – si sono seduti al tavolo della Nato e hanno detto: noi ci impegniamo a raggiungere il 2 per cento del pil. L’unica persona che ha detto che con le regole europee non ce la facciamo sono io. O togliamo le spese dal Patto di stabilità, o noi al 2 per cento non ci arriveremo mai. Perché alle Camera non passerà mai un taglio alle spese per la sanità. Se l’Europa accetterà questa strada, sarà più facile. Altrimenti, avremo grandi difficoltà».
Lei è contrario alla reintroduzione della leva obbligatoria. Perché?
«In un mondo che si complica sempre di più, a cosa serve? Se qualcuno crede che la leva serva per educare i ragazzi, io sono ancora convinto che i luoghi deputati siano la famiglia e la scuola. Non sono certo sei mesi in una caserma che cambiano i giovani. Sarebbero soldi buttati via. Abbiamo bisogno di forze armate professioniste, di persone formate e preparate».
I giudici dell’Aja hanno intimato a Israele di fermare gli attacchi su Rafah. Che cosa ne pensa?
«Guardi, parlo già troppo dei giudici italiani e non avrei voglia di commentare cosa dicono all’Aja. Posso dirle che l’Italia ha preso posizione prima dei giudici dell’Aja. Sia il presidente Meloni, sia Tajani, sia io abbiamo detto che non si deve muovere un attacco a Rafah. Abbiamo detto che la soluzione è quella dei due popoli e due Stati. Con questi atti, Israele sta pregiudicando il futuro dei suoi figli e dei suoi nipoti. Sta creando solchi di odio e delle ferite che non si rimargineranno mai. Questa è la posizione che noi abbiamo. Tutto l’Occidente sta facendo pressioni nello stesso senso. Ciò detto, mi stupisce che il ministro della Difesa israeliano sia stato “condannato” dalla Corte europea e il ministro della Difesa russo no. Qualcosa mi sfugge. Per me un bambino palestinese vale quanto un bambino ucraino».
La senatrice Liliana Segre ha detto che chi parla di genocidio pronuncia una bestemmia. È d’accordo?
«Sì, certo. Il genocidio presuppone la volontà di distruggere un popolo intero. In questo caso la volontà di Israele è sradicare e distruggere Hamas e di non dare peso ai danni collaterali, per quanto questa parola mi turbi. È completamente un’altra cosa».
Che effetto le fa vedere le proteste, nelle università italiane come nei campus degli Stati Uniti, dei giovani con la bandiera palestinese?
«È giusto che i giovani protestino per i loro ideali. Quello che mi domando è perché in questi anni non ho mai visto nessuno con la bandiera dell’Ucraina: mi sconvolge. Ho l’impressione che in campo non ci siamo valori, ma ideologie».
Quegli studenti, a Torino, hanno invitato un Imam a tenere la preghiera del venerdì.
«Le contrappongo un altro evento. A Roma fu impedito a un autorevole prelato (Benedetto XVI, ndr) di andare all’Università perché l’Università era laica. Mi devono spiegare perché in Italia un prete non può entrare in un ateneo per portare la parola di Dio e un Imam è libero di parlare di Allah. Questo modo di affrontare la libertà a senso unico è preoccupante. La debolezza del nostro pensiero, per cui dobbiamo chiedere scusa di ogni cosa, mi preoccupa. Una società, qualunque essa sia, si basa su dei valori. Non necessariamente quelli cattolici. Ma sicuramente non i valori di guerra. Se lei ascolta alcuni ministri del governo Netanyahu le viene la pelle d’oca. E capisce che se mette insieme quei ministri e li fa parlare con l’ala oltranzista islamica, non può che succedere la guerra. Noi dobbiamo affermare le nostre idee. Non dobbiamo provare vergogna. Perché noi occidentali siamo quelli che hanno portato la democrazia. Qualcosa di buono l’abbiamo fatto».
In Europa, Marine Le Pen ha rotto con i suoi vecchi alleati dell’Afd. Che influenza avrà questo suo gesto sulle alleanze a destra?
«Io penso che il futuro assetto dell’Europa si discuterà dopo le elezioni. Certo mi fa piacere che Le Pen si sia staccata dalle posizioni dell’Afd, perché ho sempre considerato quelle posizioni pericolose, politicamente inaccettabili».
E oggi chi sceglierebbe tra Le Pen e Macron?
«Ho scelto Giorgia Meloni e ho fatto prima».
E tra Biden e Trump?
«Lì è un altro discorso. Il fatto che negli Stati Uniti si confrontino due leader che hanno un’età in cui è giusto occuparsi dei nipoti è una cosa che colpisce».