La Stampa, 25 maggio 2024
Intervista a Marco Tronchetti Provera
inviato a trento
«L’Europa ha bisogno di crescita. Con questo approccio, finirà fuorigioco. La Russia? Sulle sanzioni c’è stato un errore di valutazione dei leader occidentali». Marco Tronchetti Provera è a Trento per il Festival dell’Economia. Il vicepresidente esecutivo di Pirelli risponde alle domande del direttore de La Stampa, Andrea Malaguti. Partendo dall’Europa, del voto imminente, per arrivare alle sfide dell’Intelligenza artificiale, fa il punto anche sulla Russia. E sulle urgenze che ha l’Europa per trovare il suo posto in un mondo sempre più frammentato.
Siamo vicini al voto europeo del 9 giugno. È destinato a rinforzare i valori occidentali intorno ai quali siamo cresciuti o a seppellirli per sempre?
«Credo non succederà né l’una né l’altra cosa. Questo voto ha una anomalia: è estremamente locale se guardiamo le campagne elettorali. Solo negli ultimi giorni c’è qualche accenno maggiore all’Europa. Ma non parlo solo di Italia, bensì anche di Francia, Germania. Si parla di elementi locali, ma queste elezioni sono potenzialmente storiche. Perché per la prima volta l’Europa ha coscienza della propria relatività, della propria non capacità di avere un ruolo nel grande gioco geopolitico. L’Europa è un non attore, è un portatore di valori e di mercato».
Restiamo sulla questione bellica. Quando è iniziato il disastro in Ucraina, i Paesi occidentali hanno pensato che soffocare economicamente la Russia poteva essere una soluzione. Ma Mosca ha investito in armamenti circa l’8% del Pil e ha spostato i suoi mercati da un’altra parte. Cosa è successo?
«Qui c’è stato un grande errore di valutazione delle leadership occidentali. Non è stata detta la verità forse perché non si era consci di quale fosse quella verità. Mettersi in una guerra senza avere la possibilità di agire come Paesi Nato, perché sarebbe stata la Terza guerra mondiale. Parliamo di armi atomiche. Se metti in un angolo un Paese come la Russia… Non voglio che la Russia vinca, ma nemmeno che sia in un angolo. Però questo è un rischio elevatissimo. L’Europa è entrata in un conflitto, secondo me, con scarsa coscienza di quelli che erano i rischi e senza piano B».
La Russia ha migliaia di testate nucleari. In Europa ne ha solo la Francia. Mi sembra strano che il presidente Macron parli così apertamente di invio di soldati. Siamo su un crinale suicida?
«Lo ha detto lei. È una dichiarazione derivante dalla grandeur francese. Ed è una frase che non avrebbe dovuto essere detta. Come non credo che sia giusto immaginare che bisogna quasi attaccare perché sennò i russi vengono a invaderci. La Russia sa benissimo che c’è la Nato, se un Paese viene attaccato c’è sempre l’articolo 5. Sarebbe guerra totale. E non credo che nessuno la voglia».
Qualcuno dice che la via d’uscita della Russia già c’è: la Cina. Questo scenario ha prodotto una subalternità di Putin a Xi o banalmente si è spostato un giro d’affari che prima era rivolto verso di noi?
«La speranza è che la Cina possa influire perché ha la Russia in mano. Ma la Cina non ha la Russia in mano. La Russia vive di poco, su un territorio sconfinato colmo di materie prime. Non credo a una subordinazione».
In tutto questo i cinesi hanno iniziato a fare esercitazioni militari a Taiwan. C’è la minaccia di un terzo scenario di guerra. Solo un meccanismo di pressione o c’è dell’altro?
«I cinesi guardano lungo, hanno visioni strategiche, anche quelle a cui noi non piacciono. L’Occidente interviene ma non si dimostra capace di risolvere. La Russia, in Ucraina, è in una posizione di forza, noi in impasse, e la Cina può leggere questa fase come una situazione di debolezza per gli occidentali. Lo stesso dicasi per il Medio Oriente».
Come è fare affari con la Cina in questo momento? È cambiato qualcosa?
«Dipende dai settori. Se si è fuori da quelli strategici, va tutto avanti come prima. La Cina ha una volontà di interazione con l’Europa perché ha necessità di crescita. Specie perché non ha una crescita brillante».
Torniamo al voto in Ue. Se uno guarda la campagna elettorale europea, sembra che ci siano 27 campagne nazionali. È come se avessimo un arcipelago di piccole patrie senza una visione comune. Cosa ne pensa?
«È così, è la fotografia di quello che sta avvenendo. Le battaglie locali non tengono conto che insieme siamo cresciuti, insieme rischiamo di decrescere, in modo infelice. L’unica via è un governo federale».
Lei ha capito cosa rappresenta Meloni in Europa?
«Quando Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni ed è arrivata Giorgia Meloni, è arrivata dopo Mario Draghi. Ovvero la persona più credibile di tutto il mondo occidentale. E Meloni ha costruito delle relazioni equilibrate, ha avuto una credibilità su ambo i lati dell’Atlantico. È arrivata molto più preparata rispetto a quello che pensavano i critici. E c’è anche un ulteriore dettaglio: il saper parlare le lingue aiuta».
Faccio l’avvocato del diavolo. Abbiamo fatto una Finanziaria a moltiplicatore zero. C’è anche il vantaggio del Pnrr. Eppure non mi pare che questa situazione si sia tradotta in più crescita.
«Siccome è da poco più tempo al governo di quanto è stato Draghi al governo, la stessa cosa si potrebbe dire di Draghi. Ovvero, i soldi del Pnrr li ha portati Conte, poi la guida del Paese è stata perfetta. Ma non è che ci è cambiata la vita».
Come si riduce il debito di fronte a questo Patto di Stabilità? Che possibilità abbiamo di crescita?
«È il vero tema, questo è il punto. Dobbiamo capire come crescere. La crescita si basa su un cambiamento della nostra struttura veramente radicale. Anche a livello Ue. L’Europa non può crescere con questa burocrazia. Pensiamo all’Antitrust, che limita l’espansione. Si tratta di un approccio poco pro crescita. Che riguarda anche la Bce, che nasce da Weimar e dall’angoscia dell’inflazione. Se non cambiamo questi punti non si cresce. Molto dipende da Bruxelles.
Elon Musk ha detto che non investirà in Italia perché è un Paese troppo vecchio. Le nascite sono sempre meno, e anche i laureati.
«Quella demografica è una sfida che stiamo perdendo. È il tema che riguarda il futuro, i nostri figli, i nostri nipoti. Servono scelte e iniziative radicali. Se non c’è una speranza di crescita, se l’Europa non cambia, se la crescita non sarà al centro, possiamo mettere tutti gli incentivi che vogliamo ma le famiglie non faranno figli. Quello determina la speranza nel futuro».
Capitolo Intelligenza artificiale. Sette grandi aziende che controllano miliardi di dati. Sanno cosa compriamo, chi sono i nostri amici, i nostri orientamenti, eccetera. La vera domanda è perché l’Europa è assente.
«I meccanismi europei impediscono la crescita di aziende come quelle che ha menzionato. Ci sono cose che non possiamo fare. Mentre Stati Uniti e Cina sì. L’approccio è quello di bloccare i contratti per fare la produzione da noi. Stessa logica per l’automotive. Dobbiamo essere realisti e fare ciò che possiamo fare».
In 5 anni dove ci porterà?
«Inimmaginabile». —