il Giornale, 25 maggio 2024
L’invettiva di Banhoff contro il conformismo della «società liquida»
Ogni tanto se ne sente il bisogno. Parliamo di narrativa rude e controcorrente, come in Vita da autodidatta di Ray Banhoff, nome d’arte di Gianluca Gliori (ed. Agenzia NFC, pagg. 128, euro 19. È il primo volume della collana 100 diretta da Davide Bregola). Il sottotitolo è Una palla in fronte e già rivela la natura bellicosa del contenuto. Trama semplicissima: il protagonista (innominato) è un quarantenne senza arte né parte, laureato in Lettere, mezzo mantenuto dai modesti genitori, residente in un paesotto in provincia di Pistoia, con l’unica aspirazione di portarsi a letto delle donne. E di scrivere un libro che non riesce neppure a incominciare. Cinico, un po’ depresso, arrabbiato nero col mondo. Ha un unico amico, Oscar, già compagno di università, ora imborghesito. Ed è su questo rapporto che s’innesta il romanzo.
Da una parte il protagonista vuole mantenere integrità morale e libertà di pensiero. Perciò ripudia quasi tutto del mondo intorno a lui. Il suo monologo interiore è un’invettiva in crescendo, feroce, disperata, impregnata di sarcasmo e comicità. Anarchico, bestemmiatore, dissacratore, non sopporta più nulla e nessuno; del resto non vede più spazio per la poesia, solo per l’ipocrisia. Quella degli intellettuali, poi, è massima: la Cultura in Italia la rappresenta qualche «vecchio rincoglionito bacchettone moralista». Nel frattempo «i reel imperversano, video video e video, volete tutto video. Volete il podcast». E così «i mentecatti ignoranti si moltiplicheranno come formiche». «Siamo incontrollabili, ognuno agisce per il proprio interesse costretto dal sistema ad essere egoista e nel farlo danneggia l’altro». L’alienazione che ne consegue è palpabile. A pagina 74 l’autore compone un elenco lunghissimo di tutto quello che il suo protagonista (e probabilmente lui stesso) non sopporta. Va avanti per una pagina intera; abbiamo selezionato: il mutuo, Gramellini, Michele Serra, i sondaggi, il padel, la tessera soci dell’Ipercoop, i tatuaggi, l’aperitivo, il festival di Sanremo, i follower, i voli low cost, il pesce crudo, Onlyfans, i buoni sconto, la Green economy. In una parola: il Conformismo.
Banhoff sta agli antipodi dell’ipocrisia e per questo ci piace. Come ci piace la sua scrittura tesa, nervosa, spietata. È probabile che abbia letto molto Bernhard, Céline; che abbia apprezzato la desolazione di Houellebecq. Ha composto un libro diverso dal solito, uno specchio dove ogni idealista troverà riflesso il proprio malessere. Ray Banhoff è fotografo, insegnante, collaboratore di giornali. Rappresentante eclettico di una generazione, quella nata negli anni Ottanta, che non ha fatto in tempo a godere delle rendite del boom economico, anzi, è stata pauperizzata dalla globalizzazione. Quella dei maschi devirilizzati dell’Occidente, succubi di mode strampalate e di ideologie grottesche.