Il Messaggero, 25 maggio 2024
Il duello in differita tra Meloni e Schlein
TRENTO Il duello che non si doveva fare, e che in tivvù non ci sarà, va in scena in teatro. E la polarizzazione io contro di te e tu contro di me, che è il vero cordone che unisce Giorgia Meloni e Elly Schlein, travolge con la forza della realtà le regole invecchiate della par condicio e diventa uno spettacolo a suo modo avvincente perché, al netto del bisogno della leader dell’opposizione di attaccare la leader della maggioranza, il che è fisiologico in una democrazia, il confronto che viene rappresentato è quello tra due Italie, più o meno equivalenti ma adesso è quella di destra a governare forte dei suoi numeri.
L’Italia Meloni è quella, per ammissione della stessa Giorgia, che crede in una ricetta e in una visione, si affida alla stabilità di governo che dà il tempo all’esecutivo di fare le cose e poi: «O la va o la spacca», dice Meloni, «e io non sono certo affezionata alla poltrona che oltretutto mi costa molta fatica personale e tanti sacrifici. Ma se non credessi in quello che faccio, non sopporterei di vedere mia figlia soltanto un’ora al giorno».
LE DISTANZE
La differenza tra le due Italie – e nelle file dei partecipanti per entrare in teatro ai due eventi c’è la rappresentazione plastica di questa dicotomia: «La Meloni? Vuole la stretta autoritaria?», dicono i fan di Elly. «La Schlein? Ma è possibile che la sinistra sa soltanto lagnarsi?», dicono i fan di Giorgia – passa moltissimo dal premierato.
Meloni lo declina così: «Una riforma che modifica sette articoli della Costituzione è una piccola-grande rivoluzione. Rimette il boccino nelle mani dei cittadini e li rende i veri protagonisti della politica; garantisce stabilità all’esecutivo il che significa che gli investitori, gli imprenditori e tutti si possono fidare perché non c’è una crisi di governo ogni anno e mezzo; fa crescere il sistema Paese ed aiuta lo sviluppo della democrazia sostanziale dell’Italia». «Ma figuriamoci: il premierato è un attacco che indebolisce la democrazia e la Costituzione!», è la replica di Schlein. Giorgia: «Più il governo è forte e più ha la forza di resistere alle pressioni delle lobby, delle burocrazie e di tutti quei soggetti che vogliono condizionare la politica». Minandone l’autonomia. «Meloni vuole imporre solo questo schema: comando io per tutti», risponde Schlein. Vuole l’acclamazione personale, tramite il premierato che non esiste in nessuna parte del mondo, per fare ciò che le pare. Perché Meloni non accetta le nostre proposte di modifica, per esempio sulla sfiducia costruttiva? Perché non si siede a un tavolo con noi per cambiare la legge elettorale? Perché è chiusa nel Palazzo e procede per forzature istituzionali. Vogliono indebolire la figura dell’arbitro, che è il presidente della Repubblica».
Nient’affatto: «Noi – parola di Giorgia – vogliamo il capo del governo eletto direttamente e l’abolizione dei senatori a vita. La sinistra fa l’ostruzionismo contro l’elezione diretta e pretende il raddoppio dei senatori a vita». Due Italie, appunto. Su questo e su tutto il resto. Perfino nel look. Meloni con una leggera mantellina grigia su pantaloni grigi e maglietta bianca, da signora borghese (non alta borghesia, visto che è pur sempre e orgogliosamente una underdog). Schlein con un completo blu giacca e pantaloni, e t-shirt bianca oltre alla immancabili scarpe da ginnastica ai piedi senza calze, che è più modaiolo che istituzionale, più di lotta trendy che di governo traditional. E del resto, il format politico scelto da Elly per questa esibizione è proprio movimentismo più attacchi serrati alla rivale (la nomina una decina di volte, mentre Giorgia nomina Elly solo due volte e senza accanirsi), mentre la postura adottata dalla premier è quella rassicurante e non baldanzosa. «Noi abbiamo la responsabilità di far quadrare i conti, ma stiamo investendo nel lavoro, nello sviluppo industriale, nell’interesse del Paese tutto e di tutti». Schlein comizia, e 24 applausi si prende, da un pubblico super-fidelizzato, tutto democrat, mentre Meloni incassa 8 applausi perché la sua platea è quella normale del Festival dell’economia, con molte scolaresche in teatro. Ma non si sono sfidate direttamente le due leader.
STRATEGIE
Stesso palco, stesse poltroncine, ma diversi intervistatori (Maria Latella per Giorgia, Ferruccio De Bortoli per Schlein) e la premier ha avuto lo svantaggio di parlare per prima mentre la rivale è intervenuta un’ora e mezza dopo Giorgia. E si è fatta forte di questo vantaggio. Ha studiato con attenzione le cose dette da Meloni, le ha commentate con i suoi («Su alcune cose le risponderò in maniera durissima, altre fanno parte della normale propaganda e vabbè in campagna elettorale se ne sparano tante») e appena arriva sale sul palco e parte subito a testa bassa sul dramma dei bassi salari in Italia: «Meloni scarica sempre la responsabilità su chi l’ha preceduta. Invece di assumersi le sue responsabilità». Così ha risposto a Meloni che ha accusato la sinistra dicendo che, quando governava, «i salari degli italiani scendevano dell’1 e mezzo per cento e quelli dei tedeschi crescevano del 17 per cento».
Il pubblico televisivo si è perso in somma un bel duello. In cui la demonizzazione personale è stata assente (merito di entrambe, ed ecco la forza delle donne), mentre l’asprezza della lotta politica non si è scolorita in una melassa insopportabile e poco utile ai cittadini per farsi un’idea e per darsi una scelta l’8 e il 9 giungo alle Europee. Le Due Italie sono quelle in cui Meloni assicura: «Gli investimenti nella sanità pubblica per noi sono primari». E Elly: «Vogliono favorire solo i privati». O ancora. Redditometro? «Lo volle il governo Renzi nel 2015», dice la premier, che ritiene questo «uno strumento troppo invasivo». Trasuda imbarazzo la replica della leader dell’opposizione (a proposito: quanto avrà sofferto Conte, che avrà seguito il doppio evento in streaming?) e si nota qualche sua difficoltà anche sul superbonus voluto dal governo rosso-giallo ma poi prova la zampata: «Fratelli d’Italia, se non mi sbaglio, votò a favore della proroga di questa misura».
GLI ENDORSEMENT
L’impressione è che Meloni, in questo faccia a faccia in differita (e resta sempre il rammarico del mancato Porta a Porta), abbia voluto far sfogare Schlein per sottolineare ciò che le sta a cuore: c’è chi si dimena e c’è chi governa, con tutte le complicazioni del cimento. Il risultato è stato comunque quello di un doppio evento istruttivo. Non solo infotainment, ma anche contenuti. Perciò Romano Prodi ha apprezzato l’esibizione di Schlein. L’aveva avvertita che sarebbe arrivato verso la fine, causa un impegno coincidente al Festival del Gruppo 24 ore. Ma poi è arrivato, si è complimentato con Elly e i due si sono abbracciati nel retropalco.
Se c’è una cosa che ha unito le due leader (divise al massimo grado su salario minimo, green, Europa: ah, l’Europa, perché se n’è parlato così poco alla vigilia delle Europee?) e che ha unito le due platee e anche le due Italie, è il giudizio su Stellantis. L’incarico di dire ciò che molti pensano se lo è preso Schlein. A un certo punto, osserva la segretaria dem: «Lo Stato ha dato-dato-dato, e poi ci sono aziende che fuggono all’estero dopo aver avuto tantissimo. Lo Stato deve essere più forte contro le delocalizzazione. Qualcuno ha preso e poi se ne è andato altrove, disinteressandosi della nostra comunità e dei nostri lavoratori». Se in prima fila in teatro, o sul palco, ci fosse stata Meloni avrebbe applaudito.
STILI
Meloni è tutta stabilità e sviluppo. Schlein è tutta fate poco e troppo poco. Ma a quest’ultima si potrebbe obiettare: sì, ma se i soldi non ci sono, come si fa a fare di più? Il paradosso è che, a unire Giorgia e Elly, è Ursula (la quale l’altro giorno ha riempito di complimenti la premier italiana). Ma come si fa a dire che magari le due leader potrebbero trovarsi insieme a sostenere – in un inedito destra-sinistra – la stessa presidente Ue? Infatti entrambe svicolano dall’argomento, aiutate dai due intervistatori. E che peccato.
Però Meloni si sofferma su Le Pen. Immaginando di portarla con sé nello scenario che si aprirà dopo il voto di giugno: «Ci sono svariati punti di contatto con Le Pen. Su immigrati, green, difesa delle identità. Vediamo se in Europa le cose possono cambiare. Un margine esiste. Si può creare una maggioranza diversa da quella attuale. E si può aspirare a un’Europa in cui contano meno le burocrazie e più i popoli. Il problema è che la globalizzazione, e il ruolo della Ue rientra in questo discorso, invece di rafforzare la democrazia e di diminuire le diseguaglianze ha fatto l’opposto: il potere si è verticalizzato nelle mani di persone sempre più ricche e i popoli si sono impoveriti. Noi vogliamo combattere questa tendenza».
E così, ricetta Meloni, ricetta Schlein: il solo fatto che la politica italiana ancora creda nella potenzialità di uno scontro costruttivo è una bella notizia. Lo è anche questa scena. Entrando e uscendo dal teatro di Trento, sia Meloni sia Schlein si sono rivolte così – molto velocemente – a chi le ha viste: «Mi raccomando, andate a votare».