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 2024  maggio 25 Sabato calendario

Roma sul precipizio, salvata dai barbari

Grazie a un pugno di rozzi barbari l’impero romano si salvò, tornando all’antico vigore dopo 50 anni di caduta libera verso la dissoluzione. Avveniva a metà del III secolo dopo Cristo, quando decenni di anarchia militare avevano prodotto una serie di “imperatori” durati pochi mesi, invariabilmente assassinati dai loro stessi soldati. Incursioni, pestilenze, inflazione e imperatori deboli sul trono fecero il resto, sprofondando l’impero verso l’abisso. «Non stiamo parlando del 476, l’anno della caduta definitiva di Roma, ma di duecento anni prima: questa volta poi Roma se la cavò, appunto per un pugno di barbari geniali», spiega Marco Cappelli, divulgatore storico e autore di “Storia d’Italia”, seguitissimo podcast che racconta secoli di vicende tra colpi di scena e verve narrativa, come ha fatto ieri al Festival èStoria di Gorizia, riassumendo le 474 pagine del suo saggio intitolato appunto Per un pugno di barbari, uscito per Solferino nel 2021.
Cos’è la “crisi del III secolo” e perché è poco ricordata?
«È il confine tra chi ama l’antichità e chi non ama quello che viene dopo. La discontinuità con il periodo precedente infatti è tale da rendere irriconoscibili i romani del “tardo impero”. In sostanza Roma è colpita da una crisi talmente esistenziale che cambia tutto, dal modo di vestire a ogni aspetto della vita quotidiana. Basti dire che i romani del tardo impero portano i pantaloni, infatti noi non li rappresentiamo mai così perché non ci sembrano romani. Avevano scoperto i pantaloni dai Galli e li avevano trovati comodi e caldi. Cambia anche il modo di combattere: passano alle spathae (da cui il termine spada), lance lunghe e di taglio, al posto del gladio che era di punta, il che permette di tenere una distanza maggiore dal nemico. Cambierà a breve anche la religione e questa sarà la discontinuità più importante: prima della crisi del III secolo resistevano i classici dèi pagani, ma ora l’impero si avvia a diventare cristiano (lo farà nel giro di pochi anni con Costantino), e allora muta anche l’aspetto delle città, con le cattedrali cristiane, costruite in periferia, il foro perde di importanza. Insomma, la crisi del III secolo è causata da una serie di fattori a effetto domino, che si rafforzano l’uno con l’altro».
Quali i fattori devastanti?
«Intanto due pandemie spaventose, l’economia va a rotoli, le frontiere vengono soverchiate ovunque e la crisi politica è così caotica che gli imperatori si avvicendano con una frequenza da primo ministro italiano! La prima, la cosiddetta “peste antonina” di vaiolo, è il principale innesco del tracollo: scoppia ai tempi di Marco Aurelio, quindi alla fine dell’epoca d’oro dei “cinque buoni imperatori” (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio) e uccide il 20% della popolazione. Però da sola non avrebbe affondato l’impero, che era ancora un corpo sano, ma nel frattempo i nemici germani e persiani sono diventati molto più formidabili che in passato e Roma non riesce più a difendere le frontiere. Questo porta a dover spendere più soldi. Ma con il 20% di popolazione in meno, si sono ridotte anche le entrate. Come fare? L’unico modo è ridurre la percentuale di oro e argento nelle monete, che diventano di latta e si svalutano, i prezzi esplodono. Non era mai successo, nei secoli della pax romana l’inflazione era stata così bassa che i romani pensavano che il prezzo delle cose fosse un valore intrinseco immutabile, quando questo non avviene più non capiscoantonina. no cosa stia accadendo. Il denario di Gallieno (253-268 d.C.) ha il 2% di argento, è il peggiore mai prodotto! Così si torna allo scambio in natura... A questo si aggiunge una crisi politica senza precedenti: da un sistema in cui gli imperatori erano eletti dal Senato insieme ad altri attori politici e all’esercito, all’improvviso contano solo i soldati, ogni esercito elegge il suo imperatore, le rivolte militari si susseguono. L’impero non è più il corpo sano della prima pandemia. E arriva la seconda».
Una somma di disgrazie… «La peste di Cipriano infuria dal 249 d.C., 80 anni dopo la peste I generali romani arrivano a saccheggiare le loro stesse città perché non sanno come pagare i soldati, e a un certo punto accade una cosa inaudita: l’imperatore, Valeriano, viene catturato dai persiani sul campo di battaglia e portato via prigioniero, non era mai successo prima! Chi comanda? Tra l’altro tutto il suo esercito era stato catturato con lui, le altre regioni dell’impero erano sguarnite, la Gallia si elegge un suo imperatore, il povero Gallieno, figlio di Valeriano, si ritrova solo l’Italia, l’Oriente allo sbando si mette nelle mani del re di Palmira. Il giocattolo è spezzato in tre, non sarà facile rimetterlo insieme».
Gallieno è un imperatore interessante… «Prima di morire assassinato dai suoi soldati fa riforme importanti. Rendendosi conto di poter difendere al massimo l’Italia, si trasferisce da Roma a Milano, vicino alle Alpi, e lì forma un corpo di cavalleria mobile di decine di migliaia di uomini, per intervenire con rapidità su qualunque frontiera. Poi si inventa la meritocrazia: da sempre i romani davano le cariche apicali solo ai senatori, magari incapaci ma ricchi. Gallieno invece eleva i migliori soldati a comandanti delle legioni perché ha bisogno di persone bravissime a combattere, e da questa novità a breve deriverà proprio la classe dirigente che salverà l’impero, prima militarmente poi politicamente, cioè gli Illiri: il pugno di rozzi barbari del titolo».
Chi sono?
«Gli abitanti dell’Illyricum, gli odierni Balcani, uomini di estrazione bassissima, contadini che si sono arruolati per sbarcare il lunario, i cui genitori non erano nemmeno cittadini romani. Questi soldati formano la classe nuova dirigente che sostituisce quella italica: quasi tutti gli imperatori dopo Gallieno vengono dall’Illyricum: Costantino, Diocleziano, nomi giganteschi! Tra di loro c’è quello che ritengo l’imperatore più grande della storia romana, Aureliano».
Qual è il suo miracolo?
«In soli cinque anni (poi verrà assassinato dai suoi pretoriani nel 275) riunifica i pezzi e li fa sentire di nuovo parte dell’impero, riforma la moneta, sconfigge il regno di Palmira, batte le invasioni barbariche dei Goti, a Roma costruisce le Mura aureliane e doterà le città di fortificazioni possenti. Dobbiamo ad Aureliano anche il 25 dicembre come festa del sol invictus al quale in futuro il cristianesimo sovrapporrà il Natale di Gesù: in nuce ci sono già gli elementi che porteranno a Costantino. È tanto amato che il Senato gli dà il titolo di Restitutor Orbis, il Restauratore dell’ordine mondiale. Se non fosse stato ucciso, avrebbe messo fine alla crisi del III secolo, invece lo farà Diocleziano».
Altro barbaro illirico.
«Di bassissima origine, e straordinario: dà due secoli di vita in più all’impero d’Occidente e mille anni a quello d’Oriente. Reazionario, vorrebbe portare indietro il tempo di cento anni, all’epoca di Marco Aurelio, ma per tornare indietro è costretto a innovare. Come fa? Decide che tutti devono pagare le tasse, ma equamente, per cui organizza un enorme censimento in tutto l’impero., non semplice come quello di Augusto: quanti sono gli abitanti, cosa possiedono, che animali allevano, quanto misura ogni terreno, cosa produce ogni proprietà, così la tassazione si basa sulla vera situazione economica. Prima Roma aveva un sistema fiscale molto ineguale. Diocleziano aggiorna i registri ogni 15 anni, e ha i soldi per permettersi l’esercito più vasto della storia romana, mezzo milione di soldati. Il suo sistema fiscale verrà usato ancora ai tempi delle Crociate e per tutto il Medioevo gli anni del calendario verranno contati in base al ciclo di 15 anni dei censimenti (le indizioni). Anticipa i tempi anche stabilendo la sede in Oriente ben prima di Costantino, a Nicomedia, poco distante dalla futura Costantinopoli, e da lì governa. È l’unico che abdica volontariamente, si ritira a Spalato, in Dalmazia, dove tuttora sorge il suo magnifico palazzo, morendo di morte naturale. Ha sempre detestato Roma, c’è andato, sì, ha inaugurato le terme di fronte alla Stazione Termini con una grande festa, ma non vedeva l’ora di andarsene. Questi barbari illirici venuti dal nulla sono i nuovi romani, gente che crede in Roma con la foga del convertito, mentre il centro ancora ricco, sofisticato, ma moralmente svuotato, è già imploso».