Avvenire, 25 maggio 2024
Biden inizia ad arrancare, Trump avanti
Un mese dal primo dibattito presidenziale, due mesi dalla prima convention nazionale di uno dei due partiti principali, cinque dal voto. La campagna per le presidenziali Usa è entrata nel vivo. È ancora troppo presto per fare affidamento ai sondaggi a livello nazionale, che vedono in leggero vantaggio Donald Trump, che ieri ha “arruolato” l’ex rivale Nikki Haley a «far parte in qualche modo della mia squadra» dopo averla insultata per mesi. Ma le rilevazioni concentrate su specifici gruppi democratici o condotte Stato per Stato (che sono quelli che importano nel sistema americano basato sul collegio elettorale, dove contano le vittorie dei candidati in ogni Stato) cominciano a fornire alcune tendenze utili. E non sono rosee per Joe Biden. Si conferma, ad esempio, che alcune fette della coalizione democratica sono restie a sostenere il candidato del loro partito: soprattutto giovani, neri ed ispanici. Un sondaggio del New York Times e del Siena College in Stati chiave come Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Arizona, Nevada e Georgia, ad esempio, ha mostrato che un generico candidato democratico al Senato vincerebbe di cinque punti percentuali su un repubblicano, mentre Biden è risultato in svantaggio rispetto a Donald Trump di sei punti.
Il presidente è relativamente più competitivo nel Nord del Paese: un dato che gli permette di concentrarsi sul Sud ma che ribadisce pure quanto abbia perso terreno fra neri e ispanici, più presenti nella parte meridionale del Paese. Sembra inoltre che l’aborto, un tema scottante di queste elezioni che finora ha aiutato i democratici attirando alla urne chi teme nuove leggi che proibiscano l’interruzione della gravidanza, non sarà l’elemento di svolta di cui la campagna di Biden ha bisogno.
Lo stesso sondaggio ha mostrato infatti che alla domanda “chi dei due candidati pensate sia migliore per gestire l’aborto” gli americani hanno preferito Biden per 11 punti percentuali. Non un margine schiacciante. Due fattori danno però speranza all’attuale Commander in chief. Uno è l’economia.
Gli americani tendono a votare con il portafoglio alle elezioni nazionali, dando la loro preferenza al partito al governo nei periodi buoni e all’opposizione nei tempi duri. Quest’anno, nel complesso, gli indicatori economici sono positivi. Gli elettori, però, continuano ad avere una visione cupa delle loro finanze, soprattutto a causa degli effetti di diversi anni di inflazione elevata e dei costi alti degli alloggi. Ma la fiducia dei consumatori sta aumentando e in molti potrebbero accorgersi di qui a novembre che le cose non vanno male. Il secondo fattore è il processo penale di New York a Trump. Presto la giuria dovrà riunirsi per fornire un verdetto. Che cosa succederebbe se il candidato presidenziale repubblicano fosse condannato? Alcuni esperti liquidano il caso di Manhattan, che verte sul pagamento in nero a una pornostar, come una bazzecola. Potrebbero aver ragione. Ma un sondaggio Abc News/Ipsos di tre settimane fa mostra che, sebbene l’80% dei sostenitori di Trump assicuri che una condanna non cambierebbe il loro voto, il 4% dice che li porterebbe a cambiare idea e il 16% che li indurrebbe a “riconsiderare la questione”. Un sondaggio della Cnn fotografa al 24% i repubblicani che riesaminerebbero la loro intenzione di votare per Trump.
Perdere anche solo il 4% dei consensi della propria base potrebbe essere sufficiente per cambiare il risultato delle elezioni, se si considera che le ultime due gare presidenziali sono state decise da circa l’1% degli elettori negli Stati decisivi. Ma mancano cinque mesi. Molto può ancora cambiare.