Avvenire, 25 maggio 2024
Solo quattro attacchi a maggio: gli Houthi non «pungono» più
Non ci sono più i siluri della Jeune Ecole di primo ’900, ma i droni e i missili del XXI secolo, l’arma per antonomasia della guerriglia navale Houthi, analizzata fra gli altri dal portale Warontherocks. Una minaccia che è stata capace di sconvolgere il traffico mercantile fra Asia ed Europa. All’inizio della crisi, era sembrato di rivivere i drammi della guerra dei tanker (1984-1988), sferrata dall’Iran con mezzi tanto semplici quanto innovativi. Emuli dei maestri persiani, gli Houthi hanno cercato di replicare nel Mar Rosso anche altre gesta, pensando forse agli ucraini che, senza flotta da guerra, sono riusciti a neutralizzare la Marina nemica. Quella di Kiev, oggi in difficoltà a terra, è stata in mare l’apoteosi della strategia dal debole al forte, studiata senz’altro dai guerriglieri yemeniti, ma applicata con esiti molto controversi. Racconta l’associazione Assofermet che, crisi imperante, trasportare acciaio dall’Estremo Oriente al Mediterraneo, circumnavigando l’Africa, comporta 15-25 giorni di navigazione in più rispetto al mese usuale via Suez. Con quale effetto? I prezzi sono aumentati del 150%. Frutto delle speculazioni si dirà, ma tenere in mare una portacontainer costa ogni giorno dai 150 ai 200 mila dollari e, con viaggi più lunghi, si consuma più carburante e c’è pure da pagare gli straordinari agli equipaggi. Nemmeno i noli marittimi ne sono usciti indenni, quadruplicati ad esempio nella tratta da Shangai a Genova. Una crisi locale si è fatta panregionale. Racconta il vice ammiraglio Brad Cooper, numero uno delle forze navali del comando centrale statunitense, che gli attacchi ai cargo sono stati indiscriminati, con più di 50 Paesi coinvolti. Più o meno selettiva, la guerriglia navale degli Houthi ha avuto una dimensione poliedrica, mirando non solo agli interessi economici, ma anche ideologici, politici e culturali. A inizio maggio, si è temuto il peggio, perché il portavoce dei guerriglieri, brigadier generale Yahya Saree, ha minacciato di ampliare gli attacchi al Mediterraneo orientale e, avant’ieri, Abdul Malik al Houthi, leader del gruppo, ha rivendicato ulteriori raid nell’area, dopo quelli non meno inverosimili del 16 maggio. In Occidente comincia a filtrare un cauto ottimismo perché, da settimane, i colpi dei guerriglieri si sono fatti più sporadici e meno minacciosi.
Se n’era accorto già a inizio aprile il tenente generale Alexus Grynkewich, capo delle forze aeree del Comando centrale statunitense: «il ritmo delle operazioni nemiche sta scemando», aveva confidato all’Associated Press. Ha funzionato la deterrenza o forse scarseggiano le munizioni? Fra novembre e marzo, i guerriglieri hanno impiegato massicciamente un arsenale di cui sono ignote le dimensioni di partenza. Ma, in quel periodo, c’è stata una media di 19 raid al mese, con più tipologie di ordigni. Nella giornata del 9 marzo, le navi americane, britanniche e francesi hanno fatto gli straordinari, abbattendo più di 25 droni lanciati con tattiche complesse. Poi c’è stato un declino, forse per cause molteplici. Quando l’Iran ha richiamato in patria la nave Beshad, che trasmetteva agli Houthi dati preziosi sui cargo da colpire, i guerriglieri hanno perso smalto. Le task force navali anti-traffici illeciti e le coalizioni marittime a guida anglo americana ed europea (Prosperity Guardian e Aspides) si sono dimostrate efficaci, galvanizzando le superiorità d’intelligence e di scudi occidentali sulle spade dei filo-iraniani. È forse presto per cantare vittoria, perché la rotta Bab el-Mandeb-Suez patisce ancora, ma il Centro per le operazioni commerciali marittime del Regno Unito ha registrato ad aprile solo 8 attacchi e, dal primo al 23 maggio, il ritmo non è stato superiore, limitato finora a 4 colpi. Racconta il Combating Terrorism Center di West Point che, non molto tempo fa, gli Houthi avevano rivendicato di possedere un’ottantina di barchini telecomandati, ma in azione se ne sono visti pochissimi, gran parte distrutti prima del lancio dagli anglo-americani.
Un’ipotesi del think tank Alma vorrebbe che gli Houthi, solidali con i palestinesi, potrebbero aver legato la portata delle loro azioni al ritmo della guerra a Gaza, fattosi da tempo meno dirompente e cruento.