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 2024  maggio 24 Venerdì calendario

Intervista a De Marchi

PADOVA – Da 1106 giorni un italiano non si presenta al via di una tappa del Giro d’Italia in maglia rosa. L’ultimo, il 14 maggio 2021, è stato il friulano Alessandro De Marchi, che oggi passerà nelle sue terre per una giornata che si annuncia adattissima a fughe. Quindi adattissima a lui, il Rosso di Buja, protagonista di un fatto curioso nella tappa del Passo Brocon: a un certo punto era stato dato per ritirato. Sua moglie si era allarmata. Ma all’arrivo De Marchi c’era. «Attenzione a diffondere notizie non verificate» ha detto lui. Ieri è caduto, ma si è tirato su e ha portato i suoi 38 anni all’arrivo, 4’48” dopo la volata vincente di Tim Merlier.
La combattività è la sua arma.
Anche Gianni Mura l’amava molto per questo.
«Mura aveva un occhio di riguardo per i corridori come me e questo mi rende orgoglioso. C’è chi nasce campione e chi non lo diventa mai, ma gli sprazzi di bellezza che può regalare un tentativo andato a segno o uno fallito per poco valgono la fatica di tutta una vita».
Da cosa si capisce che si è nella fuga buona?
«Si sente a naso, si capisce dalla volontà di chi c’è dentro di arrivare. Il carico di emozioni e di soddisfazione che dà una fuga raggiunta nel finale non si allontana molto da quello di vincere una tappa».
La sua maglia rosa resta l’ultima di un italiano. Che ricordi ha di quei due giorni?
«Grandissimi. Quella maglia rosa mi ha donato qualcosa di irripetibile, che porterò con me per tutta la vita».
È il road captain della Jayco-AlUla: l’uomo esperto, il regista, al servizio dei giovani.
«E mi piace. Ai tempi delle app e dei computer, ho l’incarico di usare i miei occhi per notare i dettagli delle corse e di trasmetterli ai ragazzi».
Lei e Jonathan Milan siete di Buja, 6000 abitanti.
«Una realtà piccola con una forte tradizione. C’è la Ciclistica Bujese, dove siamo cresciuti entrambi, con 40-50 atleti, e tante famiglie che credono nella bicicletta. Anche se al giorno d’oggi è davvero difficile e rischioso mandare i ragazzi per strada, con i pericoli che ci sono.
Anch’io sono padre di due bambini e avrei molta paura a immaginarli nelle insidie in cui mi devo muovere io in allenamento».
Anche le gare sono più pericolose, oggi?
«C’è da avere paura, sì. Le bici, i materiali, ma anche l’atteggiamento di molti».
Cosa sta accompagnando il suo viaggio al Giro?
«La musica, i Litfiba, gli Aerosmith. E la lettura di un giallo,L’ombra della solitudinedi Paolo Roversi».
Lei è uno dei corridori più sensibili anche ai cambiamenti della società. In questo Paese che vira a destra come si sente?
«Spaesato e incredulo. Qualche settimana fa ho visto le immagini della manifestazione neofascista a Milano per Sergio Ramelli. C’era una marea di gente col braccio teso e le forze dell’ordine non sonointervenute. Spesso con mia moglie ci chiediamo in che Paese siamo finiti da un anno e mezzo a questa parte.
Sono stupito da quante persone stiano abbracciando questa sorta di nuovo richiamo. Sembra di vivere inun film».
Ha sempre il braccialetto giallo dedicato a Giulio Regeni.
«La tenacia della sua famiglia deve essere di esempio per tutti noi».