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 2024  maggio 24 Venerdì calendario

Intervista a Mario Testino

Per lui ogni dettaglio è importante. Parla con sicurezza, ma con attenzione nello scegliere le parole giuste e, soprattutto, nell’ascoltare quelle che gli vengono rivolte. Mario Testino, 69 anni, fotografo di fama mondiale, che ha scattato le campagne moda più famose e ritratto le top model più inavvicinabili e i personaggi più celebri, contribuendo a renderli tali, racconta che «ogni persona è interessante, perché tutti hanno una storia da raccontare. Ed è questo ciò di cui mi occupo, non della bellezza. Dedico tempo e attenzione a tutti coloro che fotografo, parlando e imparando chi sono».
Oggi è a Roma per l’inaugurazione della mostra Mario Testino – A Beautiful World, in anteprima mondiale proprio nella Capitale, a palazzo Bonaparte: racconta sette anni di viaggi in circa trenta paesi, alla scoperta di antiche culture e di bellezze affascinanti in luoghi distanti come secoli.
Com’è diventato fotografo di moda?
«Per caso. Ero andato a Londra per studiare, ma l’università che mi aveva accettato non aveva più posti per quell’anno. Non potendo rimanere senza fare nulla, mi sono iscritto a una scuola di fotografia. È stato lì che sono diventato fotografo di moda. Tutto è stato intuitivo».
Come si arriva nell’Olimpo?
«Bisogna essere nella professione giusta per se stessi, perché tutti abbiamo un talento, e, poi, molto, molto, molto lavoro». Sono venuti prima i vestiti o la macchina fotografica?
«Da giovane ero ossessionato dagli abiti, mi credevo un modello e indossavo quello che potevo trovare di strano. A Lima ero molto criticato perché mi vestivo in modo diverso dagli altri, ma mi piaceva la moda».
E nato in Perù e ha avuto un’educazione molto cattolica in cui il sesso era un tabù. Che impatto ha avuto?
«Mi sono trovato a Rio de Janeiro come una soluzione per bilanciare il lato convenzionale del mio paese di origine. Il Brasile mi ha avvicinato al corpo, perché è un posto dove tutti sono spesso semi nudi, anche al di fuori della spiaggia. Ho capito che la sensualità sarebbe rimasta molto presente nel mio lavoro».
Di viaggi ne ha fatti molti per A Beautiful World. Sembra aver messo da parte il mondo patinato per dedicarsi a scatti che guardano i vestiti più come cultura che come marketing. È cambiato qualcosa in lei?
«Dopo tanti anni nella moda, è inevitabile ripetersi. Credo che sia per i giovani. Quest’anno compio settant’anni e non penso che la mia opinione sul fashion sia così interessante oggi. Sono andato in pensione dal lavoro commerciale per fare altre cose, per fare questo progetto».
I musei vedono cose nel suo lavoro che la moda non vede?
«Non lo so. Ho lavorato nella moda per 42 anni a un livello molto alto e ho fatto molte mostre. Credo siano due conversazioni diverse: una guarda ai clienti, gli altri sono attratti dai lavori personali».
Qual è stato lo scatto perfetto?
«Sfortunatamente, la perfezione non esiste. Uno può pensare che qualcosa sia arrivata al punto più alto, ma chissà se è perfetta».
Nemmeno un avvicinamento?
«In A Beautiful World c’è una foto dei tatuaggi dell’artista Hiroshi III in Giappone. Ha riunito circa dieci persone che aveva tatuato e, dopo aver fatto il viaggio e scattato le foto, mi sono accorto, al ritorno in Europa, che non andavano bene, perché i soggetti avevano una coperta attorno alle parti intime, simile a una mutanda. Mi sono reso conto che la magia del disegno era che copriva tutto il corpo senza interruzioni. Ho dovuto richiamare Hiroshi III e chiedergli se potevo rifare le foto vedendo il disegno intero. Un progetto come questo, fatto due volte, dà il tempo di riflettere e di portarlo a un livello molto alto. Considero quelle immagini un buon esempio di qualcosa che arriva a un punto giusto».
A quel punto giusto si avvicinano anche i ritratti a Lady Diana nel 1997. Cosa ricorda?
«L’ho trovata molto speciale, sembrava destinata a fare qualcosa di grande. Era timida, ma molto dedita ad aiutare gli altri. All’inizio ero un po’ nervoso, ma è stato facile lavorare con lei: era gentile e divertente».
Lei ha anche contribuito a creare le top model...
«Negli anni Novanta le modelle erano celebrate come individui. Non so se è stato un caso, ma in quel periodo erano molte belle, spiritose e intelligenti. Io sono stato fortunato a lavorare con Kate (Moss), Naomi (Campbell) e Gisele Bundchen all’inizio della loro carriera. Essere amico delle modelle crea una conversazione intima e loro danno il massimo perché sanno che le proteggerai».
Cosa fa sì che Naomi Campbell sia ancora in vetta?
«È molto dedita al suo lavoro, ha un corpo incredibile e la bellezza che continua con gli anni. È molto intelligente e gestisce la sua carriera con attenzione».
Lei ha dedicato molti scatti a Kate Moss. Come la definirebbe? «Non è solo bella, ma è anche molto gentile, con un gusto personale eccezionale. È fedele ai suoi amici, divertente e ha sempre qualcosa di nuovo da mostrare».
Tra i tantissimi stilisti chi ricorda in particolare?
«Gianni Versace è stato uno dei primi grandi a farmi lavorare, grazie a Madonna che mi chiese di fare una campagna di Alta Moda per lui. Gianni era una persona forte, con una propria identità e gusto. E, poi, Tom Ford, che all’epoca guidava Gucci e mi ha dato più spazio e spinto di più. Per quella casa di moda ha creato un’identità che prima non c’era».
Ha mai instaurato una vera amicizia con qualcuno nella moda? «È difficile, non ci si vede tutti i giorni. Madonna è stata una delle prime a notare il mio lavoro e a propormi agli stilisti. Ha un talento incredibile e sa cosa è nuovo e interessante».