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 2024  maggio 24 Venerdì calendario

Masolino, pittore fuori dagli schemi

Povero Masolino, schiacciato in tanti racconti al confronto con Masaccio e la prova muscolare della Brancacci. Come se il primo, condannato in un cono d’ombra pure un po’ moralista, servisse soltanto a fare da liquido di contrasto con la novità e l’intelligenza del secondo. Finalmente arriva a Empoli una mostra che risarcisce Masolino da Panicale (non il centro umbro ma forse Panicale de’ Renacci, nei pressi di San Giovanni Valdarno: insomma, conterraneo di Masaccio anche se di diversa generazione e retaggio famigliare), distribuita tra la chiesa agostiniana di Santo Stefano, dove 600 anni fa il pittore aveva affrescato il ciclo della Vera Croce, e nel Museo della Collegiata.
Mostra piccola ma preziosa, magnificamente allestita, che raccoglie il corpus più ampio di opere mai presentate finora dell’autore (tra cui un inedito San Francesco ) e che consente di seguire da vicino, anche attraverso un congruo numero di lavori di artisti condividevano una linea aperta da Lorenzo Monaco a Gherardo Starnina, il viluppo di anse che prende l’arte in quella fase nei primi decenni del Quattrocento in cui convergono multiple tradizioni e che chiamiamo (o ci ostiniamo a chiamare) Rinascimento. Una “terza via” tra Masaccio e l’Angelico la vuole, e non a torto, Andrea De Marchi, curatore con Silvia De Luca e Francesco Suppa. Si supera, finalmente, il problema di novatori, aggiornati e attardati, per restare sulla qualità del lavoro, sulla capacità di rispondere da parte di Masolino alle richieste della committenza, alle volatili opinioni del gusto e alle esigenze della propria lingua, così che le sue opere appaiono “giuste”: ossia ciò che devono essere. Masolino, scrive De Marchi, appare come «un analogo pittorico di Ghiberti, capace fra terzo e quarto decennio di conciliare un’irriducibile eleganza calligrafica con una narrazione più efficace e una resa degli affetti più misurata».
Masolino è una domanda aperta, a partire dalle lacunose notizie sulla sua vita. La mostra cerca di definire alcuni punti fermi, lasciando giustamente aperte altrettante questioni. Fondamentale è la formazione presso Ghiberti e la sintonia con la stagione del gotico internazionale, che a Firenze è tanto breve quanto intensa. Ma a Masolino Firenze non è mai bastata. La Madonna dell’Umiltà allattante, con il suo ipnotico manto rosa e blu e le carni docili ed eburnee, è per De Marchi un lavoro radicato nel Trecento senese e allo stesso tempo esperto delle Madonne boeme e salisburghesi. I gesti e le espressioni si fanno progressivamente più solidi, anche in seguito all’impatto con Gentile da Fabriano, evidenti nella Madonna nell’Umiltà di Brema, e in sintonia con la fisicità precoce del giovane Donatello. In mostra ci sono la Crocifissione dei Vaticani, dolce e sobria, l’ Imago Pietatis della Collegiata di Empoli, che non “tempera” Masaccio ma ne condivide le istanze all’interno di una precisa, personale poetica. Ma al di là delle fluttuazioni stilistiche, la chiave è la ricerca di una verità di affetti (figlia della devotio moderna) e una chiarezza narrativa, alla base probabilmente del successo e dei favori che guadagnò presso una figura di primo piano come il cardinale Branda Castiglioni, che lo volle con sé a Roma in San Clemente e infine a Castiglione Olona, dove forse Masolino lascia la sua opera più compiuta (mentre in Ungheria, nel 1425, vi andò al seguito del condottiero Pippo Spano). Chiarezza e ampiezza narrativa che Masolino sviluppa compiutamente già nel ciclo di Santo Stefano (realizzato nel 1424 poco prima di salire sui ponteggi fiorentini della cappella Brancacci, calcati alla pari con il collega Masaccio), di cui oggi restano solo le sinopie ma sufficienti per leggere l’intuizione di abbandonare la parcellizzazione delle storie, nella tradizione del Trecento fitte e riquadrate entro spesse cornici qui invece non solo ridotte con disinvoltura ai minimi termini ma addirittura abolite per impaginare lunghe fasce continue che corrono sulle tre pareti della cappella. Soluzioni che, secondo Suppa, Masolino avrebbe potuto vedere nell’Italia settentrionale e in particolare nella Padova di Guariento. In una Firenze artisticamente autocentrata Masolino è dunque un “irregolare”, come lo vuole De Marchi. Levargli di dosso gli schemi consolidati è il solo modo per inquadrarlo davvero.